01 dicembre 2014

Il processo ( Franz Kafka)

Vorrei incontrare chi non si è mai sentito in colpa. Sì, anche quello che magari beccate spesso sull'uscio di casa, la barba fatta, il volto magari insipido ma senza macchia o paura, gli occhi lontani, l'animo impermeabile a qualunque sforzo, fatica o dannato impegno di questa vita che ci vive e ci muore dentro senza che possiamo fare nulla. Oppure la donna ineffabile, tanto bella che eppure si dà, quella che volteggia, circuisce eppure eccola lì, bella statuaria, irraggiungibile, come i cellulari, questo maledetto aggeggio che ormai domina la vita o la riempie, nel caso di esistenze che hanno bisogno di essere riempite. Come il mio portafoglio, per dire.
"Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., poiché un mattino senza che nulla avesse fatto di male, egli fu arrestato." 

 
Vorrei conoscere anche chi non è stato mai condannato, senza l'evidenza di fatti, senza che ci fosse un accusa precisa e obiettivamente consolidata, indirizzata, uno di quelli colpiti da quegli strali da cui non ti puoi difendere anche se sei un supereroe della mitica Marvel, ché di esseri invincibili ne produceva a quantità industriale. Insomma vorrei conoscere chi ancora per noia, mancanza di tempo o magari paura non ha ancora letto o non ha intenzione di leggere il romanzo di cui parlo, dello scrittore praghese Kafka (18183-1924) anche se all'epoca costretto o coscritto alla lingua tedesca ed a quella letteratura assimilato. 
L'incipit, visto poi lo sviluppo della trama, ve lo dico subito, a scanso di tediosi equivoci: non vi aspettate narrativa gialla o noir, siamo altrove ed in un altro quando dello scrivere e come comincia direi è memorabile. Un romanzo profetico, come pochi altri (mi viene in mente il lontanissimo e assolutamente non in tema 1984 di Orwell, dove una sorta di grande televisione domina ed ammansisce i bipedi di razza umana), claustrofobico, senza pietà, nero e denso, come a volte la vita diventa o può diventare, interpretato spesso in chiave onirica o psicologica o addirittura religiosa dai parrucconi abbarbicati su cattedre universitarie, quando invece è semplicemente una morale, che regge la trama: non siamo esenti da colpe e soprattutto chi ci giudica non potrà mai essere giudicato in quanto posto per fato o fortuna ad un grado superiore, senza che ne abbia i necessari requisiti. 
Senza addentrarci troppo, ché sarebbe magari prolisso, nella incredibile sequela di ragnatele posticce ed ormai assuefatte al nulla entro cui è letteralmente impicciata la giustizia italiana attualmente, "Il processo" da cui nasce titolo e trama del romanzo del lucido ed imperterrito Kafka è oltremodo allucinante quanto foriero di tempi tristi ed esistenze grame che, ve lo dirò, se non ci fosse l'amore oppure per alcuni il superenalotto o il campionato di calcio e qualche altro mero svago, stanno diventando le vite di tanti se non di molti e forse più.
 
A nulla varrà, per il timido, indomito ed incredibilmente fiducioso Josef cercare tutte le strade possibili ed impossibili per capire se primo l'accusa non abbia sbagliato persona e dunque obiettivo e poi per eventualmente, con forza e sagacia, elaborare una sacrosanta tesi difensiva. E' condannato, a quanto pare, questo basta, come molti di noi. Senza saperlo.
 Il miglior Kafka, qui, ben oltre, se non altro per durata ed intensità del famoso ed oltremodo pubblicizzato racconto La metamorfosi, meno ossessivo dell'incompiuto Il castello, in un via-vai di personaggi al limite del surreale che assume una connotazione orripilante ma veritiera, grottescamente veri, crudeli quanto dolci, irreali quanto purtroppo assai presenti nelle vite di ciascuno. Ciò rende il testo non fantomatico oppure noioso, ma decisamente attuale, attualizzante o insomma, dovete leggerlo. 
Striminzito e ridotto nella piccola nicchia di letterato dell'assurdo e di sagace quanto prolisso descrittore di ancestrali paure, Kafka era e secondo me rimane un lucido quanto disperato, nichilista e se volte pessimista (capisco che la parola fa paura, ma quando andate al supermercato gli assomigliate) lo trovo interprete della vita così come si pone. Una oscura , magnetica ed a volte soffocante serie di obblighi per chi a sua volta è obbligato ad obbligare senza trarre da questo nessun pratico beneficio. Non sopravvivenza, è sopraffazione. Un mondo triste direte, un mondo che non vorrei, ma se vi affacciate alla finestra, se pensiamo a quanto, a dove, come, quando, perché...ebbene, un romanzo realistico, se vi guardate dentro e sapete di quante volte vi lamentate, di questo o quel problema. Sarebbe certo interessante vedere come ognuno di noi ha incontrato Leni (che curiosamente assomiglia, per certi versi, alla protagonista fascinosa e mortale di Foto di gruppo con signora  di Boll, altro narratore tedesco ma di ampio respiro socio politico che per certi versi nel nome e nel comportamento ricorda lo stesso personaggio), la scorbutica, cinica, sadica perspicacia della signora Grubach, l'avvocato, il pittore, il tribunale nei suoi meandri penetrabili come burro eppure costantemente segreti. Ma queste son divagazioni.
 
Kafka è spesso autore reso obbrobrioso e illeggibile sulla base della pesantezza della sua narrativa e sul suo pessimismo cosmico. Se proprio volte sapere la mia, Fabio Volo e Moccia sono assolutamente peggio, dietro quella loro aurea e presunta leggerezza nascondono una incapacità a rendere letteratura quello di cui abbiamo bisogno: i nostri sogni, il nostro presente, eventualmente gli incubi e soprattutto una lucida disamina del futuro. Diffidate di chi, in certi romanzi, rassicura: noi siamo incerti e solo sconfiggendo incertezze, avremo la speranze di radicare e far nascere il seme di una speranza di certezze. Kafka, come poi per esempio il nostro Leopardi, è stato relegato in un antro oscuro della lettura, in quanto molto disperatamente vitale e nello stesso tempo affranto da come le cose vanno. A lui vengono preferiti coloro i quali vi propinano il detto "perché tutto cambi affinché nulla cambi", parafrasando quel che diceva il protagonista del romanzo italiano più venduto all'estero, ovvero "Il gattopardo" , a sentire le statistiche. Cambiamo o speriamo di cambiare, sarebbe bello, anche se gravati da qualche eccesso o colpa, il mondo sarà migliore. Sì, io posso. E voi?

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