05 agosto 2015

Comici spaventati guerrieri (Stefano Benni)


Leone è morto, non giocherà più. E dire che a detta di molti poteva pure farcela, sfondare nel mondo del calcio, riscattare la sua vita e per indotto quella dei suoi tifosi, per finalmente abbandonare per sempre quei posti cementificati dove vive, disumani, annichiliti dal progresso che progredisce in qualche altra parte del mondo perché lì pare di essere rimasti al Medio Evo, peggio anzi, quantomeno siamo al Giurassico della società civile.

Il professore Lucertola, dalla filosofia realista e malinconica, non può darsi pace per questa subitanea e dolorosa morte. Anche poi pensando alla ragazza di Leone, la bella Lucia. Come d'altronde l'anziano professore, pure non si dà pace il giovane e scalciante Lupetto, che mirava e rimirava le arti calcistiche del morto a fucilate e sognava per lui, quasi che fosse una preghiera. Magari in fondo la rivolgeva a sé stesso, ma vabbé, è piccolo, crescerà.



Assieme a Baol, quello in questione è forse il miglior romanzo scritto da Stefano Benni, perlomeno quello degli esordi, nel lontano 1986 ed intorno all'omicidio di Leone, vittima sacrificale per districare la trama, come nella cifra narrativa tipica dell'autore bolognese, ruoterà una serie di personaggi carismatici, fantasmatici, fanatici, psicopatici, semplicemente surreali così tanto da essere praticamente veri, raffigurati nelle loro manie e nelle loro grossolane evidenze. Si assisterà a ricerche vane, a colpi di scena grotteschi, ad impavide sfide di biciclette contro gorghi mostruosi di macchine, dove i meno peggio, i malinconici avveduti, perdono sempre sapendo di perdere ma continuano a vivere ed a crederci.
Lucio Lucertola, Lupetto, Arturo, Lucia, Carlo Camaleonte, Leone. E soprattutto Kim, il cinese, il pazzo che però capisce che la sua non è una malattia ma bensì una differenza che non può rimanere indifferente al degrado dei tempi, dei modi, delle situazioni. Una storia appunto per certi versi inverosimile, ma dai risvolti e dalle tematiche terribilmente attuali, il tutto agghindato ed abbellito dalla forse nota capacità benniana di giocare con le parole e riuscire ad essere innovativo semplicemente operando sul lessema, con ritmo e talvolta poesia, un continuo stravolgimento di tono, al fine di porre in essere uno stile magmatico che ai suoi tempi era sicuramente originale e fragrante, privo di ripetizioni ed animato da verace, mordace e sarcastica vis narrativa. Anche se la trama tradizionalmente intesa è spesso esile, fugace, addirittura banale, ma è la parola che ravviva e rende brillante il tutto.
Un groviglio di vicende talvolta paradossali imperniate su differenti registri, dalla farsa al comico, ma somiglianti a quel che si vive in un condominio di una grande città, nelle periferia più periferica distante anni luce dal centro, più che per chilometri per conti in banca. Insomma: "È come nel blues: si può scivolare su altri accordi, variazioni di melodia o di malinconia, ma si ritorna sempre all'accordo iniziale, quello che racconta la storia" .

Una fiaba per adulti forse, un romanzo di racconti che si legano e si slegano all'infinito, nella migliore tradizione di Stefano Benni, quello più vero, autentico, motivato. Perché poi perdere le motivazioni tocca a tutti, anche ad uno scrittore che prometteva bene.

Capisco. siamo un epoca apparentemente senza problemi di digestione, capace di assorbire anche il vomito, di digerire la televisione spettacolo e cibi surgelati anche di sottomarca. Inoltre ci sono molti più profeti che profetizzati, apparire oramai è l'unico verbo coniugabile mentre l'essere, intransigente e transitivo è dimenticato, tutto ciò che appare sembra inevitabile o imbattibile, mentre l'essere si sa, è troppo impegnato nelle pieghe delle beghe quotidiane, nei real-reality show, nell'affrontare nuove tasse e non può certo pensare di tornare in auge e mettere in soffitta l'aleatorio. Dunque un romanzo non cambia la vita e nemmeno può dire grandi verità, perlomeno non a tutti. Ma in un epoca dove ci sono molti sconfitti e vincere oramai è un reperto archeologico, se la Letteratura, con i suoi modi asincronici, paralleli, emblematici ci regala un sorriso di speranza, ben venga. Insomma è uno dei pochi mezzi concreti, attualmente, che ancora regala l'illusione di mondi paralleli possibili.

“Nostro compito, Lucia, è impedire che ci rubino le parole e magari nutrire le nuove. A nessuno verrà mai rubato il tesoro delle parole, della scrittura.” Lucertola professoralmente dixit.

E allora, concludendo, cosa scegliamo, il tragico del riso o ridere del tragico? Benni, funambolico e irriverente, gioca fonde e confonde due aspetti che di per sé sono non solo lontanissimi, ma opposti. E quindi si ride amaro e l'amarezza porta con sé un sorriso. Perché c'è malinconia, frustrazione impotenza di fronte a questo mondo urbano così omogeneizzato, ripetitivo, claustrofobico, ingessato da mode ed atteggiamenti imposti e mal posti, accettati senza la dovuta coscienza critica.

Quanti sogni non si sono sognati, quanti altri invece son piombati, hanno rubato il cervello ed alla fine hanno invaso la realtà, con quel che comporta successivamente e con le drammatiche conseguenze che possono accadere in questi casi. La maggioranza è sempre più convinta che la realtà non si tocca, è quella, non si può cambiare, I sogni sono solo dei virus purulenti, meglio ammazzarli, chiuderli in prigione,spedirli nello spazio, insomma, statene alla larga, sono pericolosi.

E chi si ribella, chi dice no, oltre ad essere sempre in pericolo di emarginazione totale, non può che essere appunto un comico spaventato guerriero. Non è Davide contro Golia, è Davide contro tutti e tutti vinceranno, anche se la vittoria materiale non sarà ma la loro, ma moralmente ne usciranno trionfatori. Anche se Leone è morto.

E Lucertola come sapete non si arrende. anche se oramai fatica a camminare e i semafori, per lui ciclo-amatore, sono un incubo.

"Voglio vivere ancora duecentocinquanta anni. Vivere da lucertola, strisciare sui muri al sole, sdraiarmi nel prato a zampe in su e pensare che il cielo non esiste, è un fazzoletto azzurro sugli occhi. Voglio scappare da scuola, correre ancora nella biblioteca sotto i portici, a leggere libri che non dovevo leggere, i cui autori ringrazio. Voglio rivedere le piazze piene di rabbia, e certe sere, seduti sui gradini, a perder tempo. Certe sere in cui sentivi che, in un paese lontano, una fucilata ammazzava uno come te. Voglio rivedere tutti i miei amori, anche quelli cosiddetti sbagliati. E tutti i miei amici in fila. Voglio imparare a suonare il sassofono, studiare medicina, vedere i marziani. A settant’anni è il minimo. Voglio sentire in una volta i nodi con cui sono stato legato al mondo, ogni volta che la mia vita si è incrociata con un’altra. Crollare a terra sotto questo felice groviglio.

La felicità forse è un’altra cosa, ma quello che mi è passato sotto gli occhi, questi anni, non lo cambierei mai con niente".
Un po' carpe diem, un po' un crepuscolarismo di stampo leopardiano, un po' quella goliardia benniana che quando non te lo aspetti sconfina nella poesia senza rima, ma che fa sentire tutto meno brutto, compreso il mondo, questo mondo qui, quello da seppellire sotto una valanga di risate per renderlo migliore.


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