Provate a pensare il mestiere di scrivere come
un lavoro artigianale. Di quelli di una volta, che ora come ora soccombono e
cedono il passo alla più redditizia industria, alla produzione seriale, che
cullata beatamente dai meccanici e inarrestabili congegni del mercato globale,
divora (ha divorato) il fai-da-te retto da estro e tradizione. Provate che ne
so ad immaginare il lavoro di uno scrittore come quello di qualche umile
falegname che però per Dna conosce i trucchi del mestiere e saprà regalarvi
splendidi mobili in legno senza apparente fatica, ma pregni di grande maestria.
Magari solo per un colpo di sega, od un equilibrio miracoloso fra le singole
parti, anche se la struttura è arte "povera". Ecco "Paura alla
scala", raccolta di racconti di Dino Buzzati, è un museo di creazioni
poste in opera da un artigiano sapiente, che ha ottimizzato strumenti e
materiali della sua officina fantasiosa.
E' sempre difficile parlare di Dino
Buzzati. Estremamente difficile.
Perché. Perché da un'innata semplicità, che poi
si rivela apparente, liscia, levigata, lineare, egli come un onesto
prestigiatore lima, lavora tenacemente ed alla fine lascia basiti e stupefatti,
con qualche artificio che si manifesta all'improvviso e che trasforma un'arida
pagina inchiostratizzata in una serie di immagini e riflessioni che nelle anime
simili a terre coltivate sono come fervido e prezioso humus che germoglierà
sensazioni estetiche di vasta, rigogliosa portata. E già. Dino. Così diverso
dalla tradizione nostrana, così appartato, così insomma. A suo modo. Conosciuto
ai più per il mitico e immortale "Il deserto dei Tartari", uno di
quei romanzi che sono sempre attuali perché si fondano su domande archetipiche
cui l'uomo vuole trovare risposta. Un uomo, bellunese del 1906, che lavorava al
Corriere della sera e che per anni, anche quando il successo letterario lo rese
famoso, ebbene mai un gossip fuori posto. E poi il matrimonio a sessanta anni
suonati. Con una giovincella nemmeno eccessivamente avvenente ( ma non andate
subito a dirglielo, alla signora Almerina, con quel nome poi, da fotografia
stile liberty). E poi un'attiva fervente di artista, tra teatro, poesia,
pittura ed appunto narrativa. Buzzati, era e rimane il miglior scrittore del
genere fantastico italiano del novecento. Stile puro e mai grezzo, essenziale
ma posseduto da quella folgorazione dell'inaspettato che d'improvviso accende
lo scritto. Tanta fantasia. Un'innata propensione a temi esistenzialisti, ma
senza gli appesantimenti filosfici che caratterizzano il "Nauseante"
Sartre oppure gran parte della produzione di Camus, due francesi che con i temi
esistenziali ci ragionavano ed eculubravano già nella culla. No, niente
francesi. Radici lontane, verso i maestri e classici del genere, quali ad
esempio Hoffmann oppure Lovercraft oppure l'amato Poe. Più mitteleuropeo, che
latino, sicuro.
Ed in "Paura alla scala", raccolta dl
1949, troviamo tutto e di più del Buzzati novelliere, forse l'ultima raccolta
della sua copiosa produzione a mantenere una certa autonomia contenutistica,
non schiava e maltratta da una meccanicità e plasticità artefatta, stilistica
che purtroppo annacquerà molto del Buzzati dagli anni cinquanta in poi fino alla
sua morte nel 1972. Ecco in "Paura alla scala", comprensiva di 24
racconti, troviamo anche magistrali paradigmi all'epoca coeva, come il racconto
lungo che dà il titolo alla raccolta, dove l'elite borghese o tardo nobile di
Milano cede alla paura immotivata e sarcasticamente dipinta per l'invasione dei
Morzi, allegoria nemmeno tanto velata degli allora comunisti (siamo nell'epoca
di Togliatti, delle elezioni muro contro muro del 1948, insomma epoca
politicamente decisiva e densa di aneddoti storici).
Ma poi il contemporaneo dilegua e si ammansisce,
imperversa la fantasia di Buzzati artigiano. Ed ecco il mistero non privo di
una certa sadicità che inquieta le pagine dell'altrettanto famoso racconto
"Il borghese stregato", le allucinazioni quasi surreali che permeano
"La goccia", le parabole neanche troppo scontate che sottendono i
metafisici "La fine del mondo" oppure "Nuovi strani amici".
E poi il registro mitico evocativo che invece danza come un furetto in "Il
miracolo di re Ignazio" o "Il re a Horm el-Hagar". Insomma "Paura
alla scala" è un ottimo vademecum di genere, un "prove tecniche di
fantastico" da non perdere. Per chi ama il genere, per chi desidera
approcciare ad un vero talento forse ancor oggi considerato troppo di
nicchia, dimenticando fra le varie ed eventuali cose che ad esempio all'interno
dell'università parigina c'è persino un centro studi a lui dedicato, per chi
della letteratura ama il sollazzo a volte superfluo ma che non disdegna
l'imprinting per feconde emozioni, ebbene, leggetelo. E' nella collana Oscar
Mondadori. Dino Buzzati è un ottimo medicinale per gli spiriti un poco
appesantiti dai ritmi quotidiani e banali dell'esistere, occorre forse non
abusarne perché altrimenti potrebbe creare assuefazione alla fantasia e mandare
in soffitta per qualche secolo (finalmente) la realtà così dura da digerire ed
apparentemente senza punti deboli.
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