12 agosto 2018

Piccoli suicidi fra amici (Arto Paasilinna)

Il maldestro ma risoluto
Onni Rellonen fa conoscenza del militaresco colonnello Hermanni Kemppainen in uno di quei momenti in cui si cerca la massima solitudine: un tentativo di suicidarsi. Avendo scampato il gesto efferato, i due decidono che è meglio farlo assieme ad altri come loro, è più facile, meno possibilità di imprevisti o ripensamenti. Arruolano la bella e dannata Helena Puusaari e mettono in atto il loro progetto. Ma niente sarà come prima, compresa la vita e la morte. O quel che ne rimane .

Trovati un momento topico, drammatico, catartico e ancestrale come il suicidio. Ambientalo nella remota e tutto sommato sconosciuta Finlandia, dato che il mito dei paesi nordici in genere è stato scippato dalla tria de Danimarca-Svezia-Norvegia. Mettici un tre personaggi bizzarri  scarsamente tratteggiati, per niente indimenticabili ma funzionali.
La ricetta è un romanzetto easy, dal finale scontato, con qualche trovata bizzarramente sarcastica, magari anche originale e suadente.
A parte scoprire che il finlandese Paasilina è dotato di uno humour a volte dai sapori mediterranei, Piccoli suicidi fra amici è un divertissment letterario che però personalmente fatico a definire romanzo, con una trama banalotta, un romanzo di formazione per una serie di disperati e sbeffeggiati dall’autore, che manche di ritmo e profondità. Si può fare  e regalare divertimento anche con un romanzo, ma c’è chi lo ha fatto meglio, almeno per me.
Insomma una mezza delusione, a parte l’aver appreso gli ettolitri di alcol che ingurgitano i nativi del remoto paese scandinavo ed aver apprezzato alcune notazioni sulla fierezza di un popolo minuscolo ma molto legato al proprio territorio. Il resto francamente mi apre poco, a volte quasi niente, troppo superficiale o solo accennato.
Sarà stata magari la traduzione, ma lo stile è piatto. E le encomiabili avventure di decine di depressi che hanno fallito l’annientamento per sfiga o ripensamenti vacillanti, diventerà una ricerca di una nuova vita ripensando costantemente al tentativo di finirla, una storia che però non aspira ad insegnare qualcosa, ma a diventare una ironica barzelletta neanche troppo divertente. Mandare un messaggio encomiabile in modo originale e ammiccante è pretesa interessante ma non è detto che sia alla portata di tutti.

05 agosto 2018

Sorgo rosso (Mo Yan)


Questa Cina una volta così lontana, ora così vicina, anzi ormai compenetrata al mondo occidentale. Le sue lotte, le sue indipendenze e dipendenze. Una storia con sviluppo temporale non lineare, dove l’ultimo erede di una famiglia insofferente e ribelle ripercorre i passi salienti dei suoi avi, nonni e genitori in particolare.
Luoghi remoti di in paese vastissimo ed ormai superaffollato, durante gli anni violenti e devastanti delle tensioni interne, fra giapponesi invasori, comunisti ribelli e nazionalisti.
Un violento casino, dove però ci sono sentimenti, di tutte le razze e le geografie sentimentali. Amore odio coraggio paura e a volte anche un po’ di follia
Un incedere sempre compassato indirizza la narrazione su più piani temporali, in un periodo dove l’area cinese interessata dalla storia è solcata e a volte violentata dalle crude e impietosi leggi di una guerra. E domina il paesaggio il sorgo, da dove viene distillato sapientemente da quelle parti un vino memorabile che nessuno sa perché sia così buono. Il segreto sta nel mischiarlo con l’urina ed uno di quei trucchi che non si possono svelare. Ed è comunque un sorgo rosso, come il sangue, che scorre a fiotti su queste terre dove la pace ha dimenticato di alloggiare anche un solo secondo.

Nella folle caducità umana, nella baraonda degli eventi casuali che sviluppano le vite di ciascuno, una sorta di elogio della lentezza dei momenti che contano, anche se alla fine paiono crudeltà e violenza a sopraffare ogni efflato di amore. Yu Zhan'ao, il protagonista narrato dal nipote, è uno di quei personaggi che si ama o si odia, vittima e carnefice, eroe e brigante, innamorato e promiscuo, simbolo della ineffabile imperfezione umana. Echi del Marquez più famoso, in particolare sulla tragica ineluttabilità del destino e sulla cadenza ancestrale del nostro essere, ma sono dettagli.

09 maggio 2018

La tela del ragno (Sergio Flamigni)

Non si faceva che parlare di ciò. Niente cartoni animati, o regali per il prossimo compleanno. Questo Moro era invadente, era nei cuori e negli occhi di tutti noi. Anche di chi non l'aveva mai visto o sentito e neanche immaginava chi fosse. Nell'epoca in cui finalmente arrivavano le cosiddette televisioni libere, la onnipresente Rai faceva il proprio comodo, i telegiornali non avevano contraddittorio, ammesso e non concesso che in futuro sia venuto il tutto, dopo il lutto. Era il 1978, quarant'anni  fa. 

06 maggio 2018

Purity (Jonathan Franzen)


No, non siamo puri. Ma siamo soli, ecco. Abbiamo bisogno di purità? Nel senso, vogliamo essere candidi, senza macchia e senza paura, come i cavalieri o i principi (principesse) azzurri? O forse alla fine questo torbido che ci annacqua e sporca bisogna accettarlo e farsene una ragione. Nel senso farci vedere senza schermi, essere liberi ma diversi quanto uguali ed accettare le conseguenze. Certo che io non lo so, ci mancherebbe. Trovo il mondo un po’ opaco, perché anche le più grandi sincerità nascondono un velo di tristezza ed un certo scudo invisibile che serve a proteggersi, come i supereroi della Marvel. La purezza questa sconosciuta. Trattasi di categoria spirituale o di atteggiamento verso la vita o verso gli altri? Il nodo scorsoio in cui è stretto il nocciolo del significato di questo romano di Franzen è una domanda alla fine senza una risposta assolutoria ed apodittica. Impossibile peraltro, anche per uno scrittore congetturale. Se non siamo proprio angeli, non è colpa della sfiga. Perché bene e male, qualunque accezione vogliamo dargli, abitano dentro di noi. Anche voi eh, mica siete esenti.