Una giovane donna, figlia di un ricco industriale nel campo degli omogeneizzati, di nome Lenore, dalle belle gambe e dalle solide incertezze esistenziali, è colpita dalla repentina fuga della omonima nonna dalla casa di riposo, peraltro di proprietà di famiglia. Non era una nonna normale, questo no. Ancora in vecchiaia infatti distillava le perle di saggezza da lei elaborate in gioventù conoscendo il filosofo Wittgenstein, un anomalo pensatore novecentesco, passato alla storia per le sue criptiche osservazioni sulla logica, la matematica e soprattutto il linguaggio.
Lenore ha parecchi tarli del dubbio, un amore viscerale per i racconti, un pappagallo che presto si scoprirà drogato ed in estasi mistica, tanto da diventare protagonista di trasmissioni religiose in televisione. lenore ha anche un fratello minore dedito alla distruzione della sua intelligenza e del suo status sociale attraverso l'abuso di droghe ed alcolici all'università, una sorella maggiore impegnata a costruire una famiglia solida attraverso la pratica di surreali tecniche psicologiche di gruppo. Peraltro Lenore frequenta uno strampalato ed odioso psicanalista, anticonvenzionale ed invasivo, nello studio del quale ha conosciuto quello che è a metà tra il suo fidanzato ed il mero confidente, Rick Vigorous, direttore di una casa editrice che però non pubblica libri e che ha come centralinista appunto Lenore ed un'altra ragazza ninfomane. La sede di questa improduttiva casa editrice è nel frattempo vittima di gravi problemi telefonici, che la ditta di manutenzione stenta a risolvere ed alloggia nel palazzo di un grosso, grossisismo affarista. Enorme non solo economicamente, ma anche negli appetiti insaziabili, causati dalla dipartita della moglie e che lo hanno portato alla convinzione che lui può divorare l'universo intero, ingurgitando l'impossibile, divenendo un gigante capace di digerire tutti i mondi conosciuti e non.
Diversi dei protagonisti, Lenore compresa, hanno comuni passati universitari.
Può bastare?
Perchè non sarebbe tutto qui.
Ci sarebbe anche dell'altro ne "La scopa del sistema", romanzo più che psichedelico semplicemente onnivoro e bulimico, ingrassato a dismisura di varianti e segmenti narrativi che a a volte si incrociano, a volte si perdono a volte riamngono "tra color che son sospesi", nulla dando e nulla togliendo al variegato e composito resto del corpo narrativo.
Quel che viene tratteggiato è un panorama grottesco e surreale, un mondo statunitense isterico, schizofrenico, complessato e frantumato, senza evitare episodio di sadismo, masochismo crudele, ironia morbosa o corrosiva oppure sconclusioni fini a sé stesse. Molti gli spunti interessanti, peccato che rimangano perlopiù accennati ed inespressi.
Una storia non storia si dirà che magari quindi qualcuno non vorrà farsi raccontare, innamorato del pattern
classico del romanzo e che quindi mal digerisce questi pasticci postmoderni, tavolta brillanti e geniali e quindi a loro modo gratificanti però. Non in questo caso, dove si ha l'impressione che l'autore stia tentando di impacchettare uno scatolone pieno di cianfrusaglie ma come chiude un lato gliene si sfilaccia un altro e il pacco ahime non si chiude. Immagine fantasiosa e d'attualità, in tempi di vacanza come questi.
Avete presente un fuoco d'artificio? Viene acceso, sale nel cielo, esplode, luci colori poi niente, non rimane nulla. Ecco. Riassumendo in poche parole il primo romanzo di David Foster Wallace, spumeggiante letterato staunitense, considerato uno dei nuovi guru della narrativa d'oltreoceano prima di suicidarsi nel 2008, è solo questo poco. Una serie di espedienti, di trovate, di spunti talvolta sorprendenti, ma senza che il tutto abbia una minima tenuta strutturale e tantomeno contenutistica.
Cinquecento pagine ed oltre che quindi promettono spesso fra le righe ma poi non mantengono nel corso dei capitoli. Opera dunque magamtica, confusa, certamente ambiziosa ma nello stesso tempo ingenua e raffazzonata, cui si dà a stento la sufficienza, sia perché era l'esordio narrativo e sia per diverse trovate originali e la tenuta di un certo ritmo a volte vertiginoso che almeno non fa affogare miseramente l'attenzione e la pazienza e l'attenzione del lettore nei mille rivoli narrativi, ora caustici, ora seriosi, ora pomposi ora leggeri.
Chi mi conosce sa che amo ed ho amato narratori anticonvenzionali, che portassero intelligenti attacchi alle strutture classiche del romanzo a fini
meramente di parodia oppure per illustrare meglio i loro spumeggianti contenuti e le loro rivoluzionari concezioni. Ma anche nel sovvertire esite la misura, il talento, la compostezza che sinceramente qui ho travoto solo a tratti, quasi sole baluginante tra molte, troppe nubi. Tanti sono i precetti che lo scrittore deve porre in atto quando scrive. Uno dei primi e forse dei più importanti è quello di non blaterare a vuoto, scrivere pagine e pagine di "Bla bla bla" solo per mero egocentrismo autoreferenziale
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