16 giugno 2014

La versione di Barney (Mordecai Richler)


Barney, che tesoro. Sei solo profondamente arrabbiato con chi ti ha tradito e sbugiardato. In fondo stai poi solo sproloquiando di te. O di noi. Anzi, di voi, voi umani intendo. Questi umani che credono di popolare la Terra ed invece la spopolano di sogni, la fecondano di incubi e allora che irriverenza sia. Nessun perbenismo, ci mancherebbe, il moralismo è l'oppio dei popoli. Basta criticare, recidere, deformare, costruire è faticoso, alla fine è tutto più facile azzerare senza pietà, che siano solo macerie. Che rarità, quanta forza e veemenza, quanto sei forte Barney. Siamo pronomi, a volte nomi, raramente cognomi. Eppure eccoci qui Barney, tu sei noi, noi siamo te e non ci si capisce nulla, la realtà appare, non è mai. Come fanno un bel po' di persone. Tante, forse troppe. Anche tu. Siamo tutti compresi. 



Tre mogli, di cui una morta per suicidio quando oramai il nostro Panofsky l'aveva mollata alle sue forte debolezze e alle sue deboli forze, una sposata per sbaglio e tale rimasta ed una amata come non mai che lo ha lasciato. Un accusa per assassinio, con tanto di carcere preventivo, poi archiviata con tanti dubbi. Oramai nell'immaginario collettivo Barney è il colpevole della scomparsa dello squinternato e drogato quasi scrittore Boogie. Contrabbandi vari, una discreta fortuna economica fatta soprattutto inventandosi produttore televisivo di serial genere trash ed annessi e connessi, una gioventù scapestrata e scapigliata in quel di Parigi,quella degli anni Cinquanta così poco Sarkozy o Hollande, almeno agli occhi di un nordamericano, l'amore al limite dell'ossessione per la propria squadra di hockey. Tante, forse troppe cose per una sola persona, vale a dire il logorroico ed oramai un po' rintronato Barney Panofsky, il quale però vuole ancora togliersi qualche sassolino dalla scarpa, non l'avesse mai fatto, in vita sua non è stato mai zitto, a momenti neanche quando dormiva ubriaco fradicio. 
Come districarsi da questa matassa. Semplicemente cercando di stendere un memoriale preciso e diretto quando però si ha la non arginabile tendenza alla digressione polemica e quando poi la memoria fa i capricci. Ma è necessario difendere il vero, qualcuno senza citare nome e cognome ha sbeffeggiato e calunniato Panofsky. Qualcuno che lui conosce e che sta ottenendo un clamoroso ma a quanto pare immeritato successo. 
Così va la vita. 
Quale vita? che domande. Non ci sono risposte 


Avanti Barney, racconta, focalizza, non ci distrarre. D'accordo, sei in balia di una una vecchiaia incipiente, aggressiva. Di quelle che ti immalinconiscono ad ogni istante anche se hai un carattere bisbetico, un egoismo dilagante, una capacità di ascolto inversamente proporzionale alla pretesa di essere ascoltati sempre e comunque. Ma col tempo non si scherza ed i neuroni affaticati fanno brutti scherzi. Ci si dimentica facilmente del nome del mestolo da cucina, di chi ha scritto libri, aforismi o girato film, dove e quando
Napoleone ha ingoiato una sconfitta di dimensioni epiche ed irrimediabili. Certo, seppoi la condotta di vita è stata per così dire stata non esemplare e si è bevuto il whisky come se fosse acqua Sangemini e facesse caldo, non ci può lamentare. Ma c'è ancora forza dentro Panofsky, ancora rabbia, sordido, impotente cinismo. E se avesse fra le mani quel bamboccio di McIver, ex amico di gioventù, che soddisfazione. Uno che è diventato scrittore famoso prendendo a prestito la vita di Barney, succhiandone avidamente come un parassita libidinoso gli aspetti più oscuri e dando alle stampe un resoconto a detta di Panofsky bugiardo, parziale, inverecondo. Da che pulpito viene la predica. Ma tanto Barney non è un predicatore, se ha un rapporto con Dio è del tutto originale e personalistico, come ogni altro rapporto della sua vissuta vita. Questa allora sarà il suo testamento, la sua vendetta e disdetta, la sua unica inconciliabile verità, senza dubbi di sorta. Non c'è bisogno di venire alle mani. La violenza verbale fa più male e poi scripta manent. 
Ecco allora in ordine sparso, legati da una logica ferrea che però conosce solo chi racconta, i tempi dissoluti di Parigi, dove squattrinati canadesi ed americani giocavano a fare i letterati ma non tutti scriveranno qualcosa degno di essere letto, il matrimonio francese sconclusionato e dal tragico epilogo con la interessante ed artistoide Clara, oppure i dialoghi surreali con i suoi tre figli, oramai lontani emotivamente e economicamente da lui, dopo aver sopportato quanto basta e preso il possibile, l'amore, se amare fosse anche quello che prova Panofsky, per Miriam, la terza moglie che lo piantò in asso per sposarsi un vanesio e animalista professore universitario. Ce ne sarebbe quanto basta, ma oramai Barney è un fiume in piena e non dimentica le intemperanze crudelmente inutili del padre, iroso e guarda caso alcolizzato ex poliziotto, il rapporto controverso con gli ebrei e la loro religione, le incredibili e incolmabili distanze con la seconda signora Panofsky, la moglie che Barney non chiama mai per nome quasi a sigillarne per sempre l'assoluta estraneità alla sua vita e poi le sue amicizie parigine, le lettere anonime a conoscenti a suo dire falsi ed ipocriti, il tetro e nemico McIver, lo sfatto, sfinito, autodistruttivo Boogie che rappresenterà poi l'incubo per tutta la vita.. 
E come un flusso di ricordi, di mai sopite irritazioni, prima che Barney finalmente ci racconti come andò veramente il giorno in cui Boogie scomparve, in maniera disordinata, epilettica, a volte alcolica, a volte sarcastica, dopo esserci imbattuti in scene di vita asincroniche, dove Braney non risparmia nessuno, nemmeno sé stesso. Un melting pot, condotto con brillante e rapsodico disordine, alla fine però tutta torna al suo posto. O meglio, niente torna, ma c'est la vie. Non so se qualcuno abbia letto "Viaggio al termine della notte" di quell'irriverente, anticonformista cinico Louis Ferdinand Celine. Ebbene (peraltro citato nel romanzo assieme a molti altri, ma credo non a caso). Per certi versi ci somiglia,anche se qui nichilismo e disperazione sono di facciata, ma un certo atteggiamento verso la vita appare analogo, se non simile. 
Scritto dal canadese Mordecai Richler, di famiglia ebreo-ortodossa,canadese di Montreal del 1931, uscito solo nel 1997, appare una evidente arrabbiata trasfigurazione delle avventure dell'autore magari con un po' di fiction. Peraltro, raggiunto il successo anche in Italia, il narratore morì, non permettendo di giudicare gli ulteriori sviluppi di questa sua narrativa di impianto datato ma dalle trovate divertenti e dalla struttura ed il linguaggio convincenti e misurati, con un ritmo notevole, una tenuta degna di nota e qualche trovata se non originale ben copiata. Troppo filo europeo per essere di oltreoceano come allo stesso modo è evidente che chi scrive non ha salde e radicate tradizioni europee, anzi, lo sciovinismo malcelato 
ne denuncia una certa sua allergia.Numerose e apparentemente insignificanti le citazioni di titoli ed autori, nelle centinaia di pagine, Barney era un letterato per indotto o forse dedotto, vai a capire tu. Storia personale, con tirate vigorose sul modo di vivere degli ebrei canadesi, una certa intolleranza verso le divisioni storico-culturali che animano quella terra e che la vedono divisa fra francesi ed inglesi, qualche osservazione su quella terra sostanzialmente soffocata dagli invadenti e confinanti Usa, ma nessun affresco sociologico rigoroso, solo una generale vomitata sulle differenze-indifferenze della umanità. Nulla so del film uscito di recente, a parte la presenza di Dustin Hoffmann a quanto leggo. Trovo il testo difficile da riprodurre fedelmente su pellicola. 
Da promuovere. 


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Pubblicata su Ciao.it il 20.05.2012

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