Il
sonno toglie spazio alla vita. La vita dipende dai sogni fatti nel sonno.
Dormire o non dormire, questo è il problema. Ammesso e non concesso che essere svegli
Un Coe distante anni luce da quello meccanico e asettico del recente Maxwell Sim.
Terry, Robert, Veronica, Sarah, Gregory sono malati, cercano di vivere quando
vivere diventa difficile, cercano di portare al termine le loro incredibili,
insopportabili, inverosimili tensioni fino all'estremo, fino all'ora o mai più,
perdendo sempre eppure continuando a vincere, continuando a vincere il vero
sonno, quello del pensiero e dell'emozione. Sono studenti degli anni ottanta,
Ashdown è la loro dimora e tana silente e piena di suoni e colori, poi li
ritroveremo più avanti, quando magari, umanamente parlando, sono tornati
indietro, sono regressi.
La loro afflizione: sindrome dello yuppie, lavorare a ritmi pazzeschi, fare
soldi a palate, quando un bel giorno ti svegli e vedi la tua vita davanti e non
ti ricordi più che cosa ce l'hai a fare.
Gli esorcismi e le cure per tale malattia possono essere i più disparati: la
follia, anche amorosa, la rassegnata ma ribelle rassegnazione. E' illecito
rispondere alla consistenza più o meno evanescente dei sogni, l' importante
forse è viverli come non sognarli, è illecito non darsi regole e non regolare
gli orologi del tempo, ma bisogna avere dentro la forza di accettare la propria
frigidità emotiva.
Capitoli alternati da uno iato temporale di oltre dodici anni dove quello che
si preannuncia si esplica e quello che si esplica viene fatto tornare al suo
incipit.
Stile oserei dire ammirevole, senza ridondanze, banalità, accelerazioni,
equilibrato, e in un romanzo di esasperazioni e follie, ricerca di se o
improvvise perdite del proprio io, mi sembra semplicemente fatto su misura. Lo
psicologico ed il dramma, l'intenso e il superfluo vengono raccontati con
classe apprezzabile
Sapiente architettura per indagare quegli indagabili ma attizzanti confini tra
sogno e realtà, tra paura e coraggio, tra ragione e follia, tra scegliere ed
essere sempre, tristemente scelti.
Confini ancora ignoti certo, ma che la letteratura, questa letteratura, riesce
a renderci palpabili e intelligibili.
Alcuni passaggi decisivi sono arricchiti da una ironia, pardon sarcasmo, pardon
distacco che strappa sorriso e voglia di andare avanti, perché si allenta la
tensione e quindi si riesce a traslocare dal sorriso alla malinconia sorvolando
fasi isteriche o depresse, grazie ad una sostanza narrativa fatta di caldo
attraente fluido scrivere, alimentata da un tepore dell'estro del Coe, affatto
spiacevole.
Deliziosa le descrizioni dei luoghi (Londra smorta e lunare, poi questa Ashdown
del sonno- veglia), verosimile anche l'inverosimile, posto che l'uomo può
tutto, anche dormire quando è sveglio e essere sveglio quando dorme ( e
sogna….), assunto che solo quando parli nel sonno non si possono dire bugie,
menzogne agli altri o a se stessi, mentre invece su una eterna dissimulazione e
bugia ognuno si costruisce il proprio castello di sabbia che verrà spazzato
via, regolarmente, ad ogni alta marea.
Così ci abbandoniamo alla scoperta del vero sé o all'abbandono del sé dei
protagonisti che si legano e si slegano nelle loro forze e nelle loro
debolezze, nelle loro azioni e reazioni, senza mai capire dove si va e dove,
come,quando si può veramente andare.
Finale pirotecnico, forse rovinato (o compiuto) nell'ansia di incastrare i
molteplici fili dipanati nel corso delle pagine
Siamo o non siamo della stessa consistenza dei sogni diceva più o meno
quell'impareggiabile indagatore di spasmi ed aneliti dell'animo umano a nome W.
Shakespeare.
L'eterno gioco sulla impossibile relazione fra sogno e realtà trova un'altra
perla nella infinita collana delle supposizioni letterarie. Pensiamo o siamo
pensati? O meglio: quando è giusto e conveniente essere svegli? La risposta non
c'è, o meglio, la risposta, talvolta, è un grande sonno.
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