E' un anonimo grigio mattino del 1960, il 9 febbraio. Lo stimato e riservato architetto Antonio Dorigo come sua usuale prassi chiama la sua casa di appuntamenti preferita. Una abitudine consolidata, senza alcuna remora morale. La casa è perfetta. Discrezione, clima cordiale, ottime proposte di appagamento sessuale. Si trovano facilmente accordo, orario, modalità, soddisfazione celere della richiesta. E l'eccitazione monta. Ma Dorigo, come molti esseri umani, non sa che il destino si fa spesso beffe delle nostre certezze, anche quando tutto splendidamente appare “sicuro e propizio per un borghese nel pieno della vita, intelligente, corrotto, ricco e fortunato”.
Ora Laide è lì, sul divano. Il nuovo acquisto che la casa può tranquillamente offrire a chi ne ha voglia. Non pare un colpo di
fulmine, anzi. La bocca dalle labbra non sensuali ma maliziose, la mancanza di rossetto, no, sembra solo che ci sia da soddisfare nel migliore modo possibile una voglia, altro che amore, ci mancherebbe. Peraltro si tratta di una minorenne, compiacente completamente, non solo disponibile ma assolutamente in sua balìa. Però. C’è sempre un però.
Forse gli ricorda qualcuno, forse no. Un incontro di qualche mese fa, fugace, per le strade di questa città non nominata ma che assomiglia moltissimo a Milano. Un incontro senza costrutto, ma che ha lasciato tracce indelebili, a quanto pare, anche se allora non si fosse proferita nemmeno parola. Dorigo però non ha tempo da perdere. Che sesso sia.
Ma non finisce con l’amplesso consumato. Stavolta no. Laide ha in sé la splendida imperfezione della sua giovane età e non pare soffrire eccessivi pesi della sua condizione di prostituta né peli sulla lingua. È mansueta nei limiti che la sua professione le impone, ma sa domandare, rispondere oppure no. Dorigo, forte della sua posizione, inizierà come una sorta di gioco, ma lui è ancora un bimbo nel relazionarsi, ancora puerile ed indifeso, non può accorgersi che il dramma bussa alla porta del suo cuore e del suo cervello. Convinto com’è di saper dominare istinti e passioni, condurre le danze, la indistruttibile e inafferrabile Laide saprà fargli ripensare il proprio mondo, o forse no. Da controllore a controllato. Niente sarà come prima, neanche il sesso. Ora il gioco si farà duro. Aprire una relazione, chiuderla, continuarla a pagamento o renderla affettivamente “normale” e stabile? Laide non pare così remissiva, anzi. Ha tutta la vita davanti, la coscienza del proprio corpo e la voglia di non lasciarsi soffocare l'esistenza in una schiavitù.
Romanzo per così dire se vogliamo scandaloso, considerata la sua pubblicazione nel 1963, molto ben prima della cosiddetta rivoluzione sessuale, Un amore è un'opera che si stacca nettamente dalla abituale produzione di Dino Buzzati, autore forse un poco relegato ai margini dalla onnipresente corrente realista italiota, ma capace di offrire per decenni una desueta - per la nostra tradizione - narrativa fantastica, specie con le centinaia di racconti sparsi nelle diverse raccolte pubblicate e il suo indimenticabile capolavoro romanzesco "Il Deserto dei Tartari". È un romanzo che può suscitare anche un certo disgusto nel giudicare le persone coinvolte e far provare certa amara
repulsione per il desiderio di possesso che permea le pagine e a volte sembra quasi non far respirare. Ha un suo perverso fascino nello scandagliare miti e pulsione della borghesia ben agiata, magari credente, che si lascia travolgere dalla libido e dalla gelosia. Buzzati, bellunese (1906-1972) ma trapinatato a Milano per lavoro, celibe fino ai sessant'anni, giornalista del Corriere della sera oltre che scrittore, tornerà poco e malvolentieri su questa sua quinta ed ultima prova romanzesca, non specificando mai se questa sua brusca sterzata stilistica e contenutistica fosse dettata anche da esigenze autobiografiche, da pensieri inconfessabili, da realtà vissute o solo sognate.. Rimane certo il fatto che in quegli anni in Italia questo tipo di narrativa non era certo una novità. Era del 1959 per esempio la traduzione di Lolita di Nabokov, dai temi quantomeno scabrosi moralmente parlando e nel 1960 per esempio uscì La noia di Moravia che pur non essendo una storia del tutto simile, ne precede alcuni elementi, specie quelli dell'uomo padrone che alla fine padrone non è, forse neanche di se stesso.
Un grigiume solido e sordido che mai si sbianca o diventa un colore più tenero o più sgargiante. Un amore? no, un errore. E se errare è umano, perseverare come Dorigo diventa diabolicamente autolesionista.
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Pubblicata su Ciao.it
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