06 novembre 2014

Lettera a Berlino (Ian Mc Ewan)

Succede. Come in alcune storie d'amore, come nella vita in generale. Per molto tempo eludi di leggere un autore, ma sai che prima o poi lo farai. Perché ne parlano bene. Perché ti intriga. Perché potresti scoprire un altro maestro di penna che accompagni le tue giornate grigie o solari, che ti titilli il cervello o semplicemente la fantasia, che ti faccia amare, sorridere, sognare.

Poi invece come una pugnalata alla schiena l'incommensurabile, triste, goffa delusione. Un po' di amaro in bocca. Un'occasione sprecata.




Allora. Siamo a Berlino, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Un ufficiale inglese brillante e invitante come il bitume, è incaricato di porgere collaborazione ai tronfi statunitensi per una ambiziosa opera di spionaggio ai danni degli odiati russi, tanto da dover realizzare nella zona a controllo dei rossi un complicatissimo tunnel fedifrago per poter collocare gli strumenti necessari: una complicata struttura che riesca ad intercettare le segrete e temute comunicazioni telefoniche militari dei "nemici" . Allora, come saprete non c'erano né Internet né i cellulari né i magistrati cattivi che spiano le telefonate. Si doveva lavorare sodo, per porre in essere un azione di spionaggio. Peraltro, da evidenziare, trattasi di fiction che però riprende una storia realmente accaduta e che getterà scompiglio, cordoglio e derisione su il controspionaggio anglo-americano.
Il romanzo però ha anche una storia parallela, quella fra una donna tedesca ed il protagonista.

Amen.
Maria, la donna che dovrebbe fare da faro, donna martoriata ed in fuga dagli altri e da se stessa in una Germania postguerra, nazione che si lecca le ferite e si chiude impaurita fra le macerie delle strade e delle case di fronte ai passaggi di vincitori angloamericani e russi, è una di quelle donne insipide, che non lasciano traccia. Altro che memorabile, come declama delirante la solita adulante quarta di copertina. Un romanzo può risultare amorfo o semplicemente indigesto perchè si incontrano personaggi che non convincono.
Una storia poi può irritare specie quando viene tirata su stancamente senza salde fondamenta narratologiche oppure alcuni aspetti necessri e vitali alla narrazione non vengono adeguatamente sviluppati, magari come qui a scapito di altri dettagli insignificanti che hanno il peso specifico di cenere di una sigaretta di bassa qualità. Qui il, credo vero, antagonismo fra inglesi e da americani che componevano le forze di occupazione di Berlino dopo la caduta del nazismo viene spesso accennato ma poi dimenticato con grande e scomposta delusione del lettore perchè alcuni scambi di battute sono molto buoni ed illuminanti e avrebbero meritato maggior gloria e seguito. Invece vengono seminati come a caso e fatti immediatamente marcire.La commistione di generi poi è un'operazione complessa, solo un mago ispirato o un alchimista ormai scafato e sapiente possono combinare in maniera indolore diverse molecole della narrazione. Qui invece si tende alla spy story, si inserisce una storia d'amore a tre fra alcol e prostitute che non regge, anzi naufraga facendo acqua ad ogni capoverso, si cerca la rappresentazione socio storica e si lasciano quadri dipinti a metà oppure sfondi senza colore che sembrano paesaggi padani in certe mattine invernali, nebbia, silenzio, tristezza.


Mi pare sempre di commettere reato quando finita l'ultima pagina, mormoro un insulto nei confronti di ciò che ho letto o verso l'autore dello scritto. Sembra strano, ma insomma, mi pare di ferire a morte quella che comunque è una fatica, un lavoro durato giorni, mesi addirittura in alcuni casi anni.Ma questo è un romanzo brutto ed un peccato perchè è il primo che leggo di Ian Mc ewan, uno degli scrittori d'oltremanica più quotati e sicuramente più famosi del mondo. Sorge spontaneo il dubbio se come lettore tu non sei all'altezza. Però bisogna dirselo, insomma per farla breve, brevissima: Lettera a Berlino annoia, a partire dal finale a cui nessuna pessima telenovela poteva nemmeno aspirare, un testo che potrebbe averlo scritto chiunque e potrebbe essere dimenticato in fretta. Il ritmo non vira, non varia e non si innalza, i personaggi hanno una consistenza ed intensità poco meno che farinosa, la storia nel suo complesso non si fa mai vivida o languida, semplicemente è insipida, scialba e talvolta affonda nella melma del pallore assoluto, quello di certe giornate quando ti svegli e non vuoi far nulla.

Troppo brutto per essere vero, ho comunque riabilitato l'autore leggendo Chesil beach.

Ian, l'autore, è nato nel 1948, questo era il suo quarto romanzo, uscito nel 1989.

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