13 maggio 2014

Il mambo degli orsi (Joe Lansdale)




In "Mambo degli orsi"  abbiamo un circo equestre di poliziotti psicolabili. Ovvero o alcolizzati, o che cercano di smettere di fumare e sono appecoronati al potente di turno. E la scomparsa di una magnifica mulatta, Florida, con un posteriore probabilmente degno di Michelangelo.
E l'apparire all'orizzonte di una poco ridente cittadina nel profondo sud americano, che vive ancora con tutti i più infami e biechi pregiudizi razziali come se si fosse a fine ottocento e Martin Luther King non avesse mai nemmeno sognato e Michael Jackson ancora non avesse dimostrato al mondo quanto sia fragile un'anima di plastica al di là del colore della pelle.
E la corruzione della polizia. E l'amore che viene e l'amore che va.
Microcosmo provinciale,con una provincia poco meccanica e molto medievale. Ettari di boschi incontaminati, dighe sull'orlo di straripare nuovamente e provocare dieci cento mille New Orleans.
Insomma un affresco di vita.
Hap e Leonard dovranno riuscire a scoprire che fine ha fatto la bella Florida, sparita in quel tugurio smalltown pieno di omertà, ignoranza, intolleranza. 


Leonard è un uomo di pelle scura, ma non chiamatelo "negro", le vostra ossa potrebbero scricchiolare, le gengive sanguinare, insomma vostra madre potrebbe non riconoscervi. Omosessuale romantico, quasi bambinesco. Spesso torna single dopo burrascosi abbandoni della sua metà. Dal fisico imponente è amante della pulizia ma ha spesso a che fare con le mutande lerce del suo amico Hap che gli si è installato in casa come un trojan nei computer. La sua reazione allo sporco è scarsamente bon ton. E' stato in Vietnam ma non si sa quando e come è tornato. Vota i repubblicani. Non ama particolarmente le armi di piccolo calibro. Se potesse, girebbe con un bazooka a tracollo cavalcando a mo' di bicicletta un mezzo anfibio dei corpi scelti della U.S. Army.  Hap invece ci  narra le vicende in prima persona , vive una vita povera di successi, ma ricca di eventi. Single, incline a ricredersi anche se pensa di non farcela, con un età che va  verso i cinquanta o comunque verso la vecchiaia. Bianco. di carnagione, non è bullo, ma si immerge nel bullismo come un animale nel suo habitat. Allora, facendosi carico di una serie di considerazioni e recriminazioni sulla propria indecisione, sulla propria malinconia, sulla propria filosofia violenta della non violenza, sia arma e parte all'avventura, in a base di solito a nobili propositi. E' astemio. Viene tormentato spesso da Leonard per la sua ritrosia allo scontro. Si perplime spesso su la sua effettiva profondità nell'amore e si vanta delle vigorose ed epiche nottate d'amore dove i rapporti si contano a grappoli, con tanto di contorno di dettaglio sugli orgasmi, quando capita. Non è volgare, è pulp, talvolta. Non è tronfio o sopra le righe, è common people. Non è un mito, tende a devastare i miti. Quelli made in American Deam.
Questo breve romanzo contiene un po' tutto, perché narra una storia, una surreale, grottesca, violenta dolce, vera storia. Una gran bella storia.
Un noir ad incastri gialli, dunque, ma ricco di spunti e richiami in perfetto postmodern style, con grazia, leggerezza, ironia, un misto fra Pennac e Quentin Tarantino (regista che l'autore detesta ed invidia, per inciso) ma cucinato nel calderone della grandiosa tradizione novecentesca della narrativa americana, di gran lunga più effervescente e movimentata di quella filosofeggiante, intimista, rattrappita che sopravvive, come un vecchietto saggio ed in vestaglia e pantofole, da almeno cinquanta anni sui divani dell'immaginario narrativo in Europa.
Insomma. Stile scabro e nervoso, agile, lucido, ritmato al punto giusto, eccellente quindi, che si impenna con contenuti surreal- espressionisti, che riesce per esempio a descrivere un'epica rissa stile film western all'interno di un pub con una maestria che raramente si trova, ve lo assicuro, nel panorama attuale del Romanzo.
Lansdale, genietto multiforme e pirotecnico, versatile nei generi e nelle comunicazioni è profondamente americano e nello stesso tempo molto personale, vive di un espressionismo della metafora fuori dal consueto, con un abuso di immagini forti costruite su orifizi, genitali, zoologia fantastica degna di un Borges più triviale, e che non sconfina mai nella mera, acida inutile volgarità, non ha quella volontà di irridere e sconvolgere che permea a volte in maniera quasi noiosa per esempio le pagine del Bukowski meno ispirato, ma bensì gli fa prendere punti a favore in un ideale pagella delle scritture d'autore del 2000.
Una vertigine che s'inerpica nell'animo, un fluviale torrente di risate a volte amare, anche quando si parla di morte, di odio, di diritti civili, della sottocultura intransigente, razzista e primordiale di certa America. Stati di ubriachezza non molesta, insomma, perché questo libro, a parte qualche birra, non inneggia all'alcolismo, ha tra i protagonisti un astemio convinto, eppure è alcolico in tutte le sue preziose pagine.


***
pubblicata su ciao.it il 04.04.2006

Nessun commento:

Posta un commento