21 maggio 2014

Alta fedeltà (Nick Hornby)



Canta che ti passa o era meglio morire da piccoli?
La vita è un gioco a metà, il resto bisogna decisamente viverlo

Comunque sì, é complicato crescere. E soprattutto accettare di crescere, perché con Peter Pan è amore a prima vista, ed il primo amore, lo sappiamo, non si può scordare. Chiedetelo a Rob, il protagonista di questo romanzo, che si trascina dentro il dubbio amletico dell'essere o non essere lungo 250 pagine affatto noiose e nemmeno troppo pretenziose.
A 35 anni o intorno a quelle parti, la vita né inizia né finisce. Ma il tempo scorre, comincia ad avere consistenza il passato ed il futuro è lì ad incalzare.
Così Rob, misogino, musicofilo, forse un bimbo cresciuto ma impertinente e paravento è la voce narrante del racconto, in preda a dubbi e malinconie, velleità e sogni. Mette a nudo la sua vita attuale e quella passata, con una storia sobria ma non troppo (altrimenti non sarebbe inglese), mai banale, con quello stile anglossassone che non ti fa mai ridere ma con il sorriso che è dietro ogni pagina, ogni riga.




Un over 30 mollato dalla convivente, Rob, che alla sua "veneranda" età si inventa ragioniere , accorgendosi però che il bilancio delle entrate e delle uscite della sua esistenza registra un netto deficit a favore delle seconde. Cosicché si inventa maldestre addizioni e sottrazioni per far tornare i conti, e raggiungere la normalità cui aspira, il tutto sullo scenario di una Londra di nicchia, poco cosmopolita, un po' sfigata e provinciale, né uptown né downtown, ma semplicemente grigia e middle class, con tanto di pub fumosi e birra doppio malto.
Tale scenario acquista spessore e brio però perché esposto alla luce di una una dimensione musicale. Infatti Rob vive ogni incontro ed ogni scontro in base alle sue preferenze musicali, particolari a volte, essendo gestore di un negozietto di rarità specie anni sessanta- settanta (e non gli si può perdonare però di odiare gli U2, anche se si rifa ai miei occhi parzialmente con il suo amore incondizionato per Bruce Springsteen).
Le eculubrazioni di Rob sono così stereo, viaggiano a ritmo di pop, soul, blues, country e rock, in ogni aspetto della vita c'é un ritornello, un riff, un sound. Che potrebbe essere pure vero.
E diventa difficile per Rob capire e capirsi, lui che non saprebbe mai accettare una serata in compagnia di chi ha i dischi di Tina Turner e si danna l'anima perché i suo coetanei pensano che l'hip hop sia una sigla per cartoni animati. E soprattutto, la sua ex ragazza deve tornare ad amare e ballare un pezzo di Solomon Burke...
Così mastro Hornby (del 1957, autore non prolifico ma di qualità di romanzi come "Febbre a 90°") ci tratteggia il suo perplesso ed insicuro personaggio, già fanciullesca preda a spasmi di anticipi di vecchiaia, forgiando atmosfere e caratteri made in music. E tutto scivola musicalmente via, facendo della storia un romanzo sui generis.
Che dire? Insicuro e stonato Rob, con i suoi amici ancora più persi di lui,(mitici i suoi assistenti musicofili del negozio, come Barry, intransigente amante di musica "sperimentale") circondati di donne decisamente più concrete (ma sarà poi vero?) per una agile e mai banale panoramica delle debolezze di un mezzo uomo mezzo bambino di sapore globale e non solo inglese, incapace sia di perdere che di vincere e che lotta per essere normale, inseguendo la possibilità riconquistare la sua Laura scappata via. 


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Pubblicata su ciao.it nel settembre 2005

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