Non
so perché l'autunno gli ricorda la pioggia, queste terre fatte di
umidità, rancore, odore e chissà cosa e comunque le foglie che poi
cadono. Ed insomma. Il dottore non medica più. Arrivato da chissà
dove, chissà per quale perché e in base a nessun come, non vuole
più esercitare la sua professione. Deve, vuole vorrebbe ma non può
curare la sua anima afflitta ed ammorbata da uno dei più cancerogeni
mali spirituali che l’uomo conosca: la solitudine. C’è solo un
rimedio: la morte, assoluta e senza scampo e che non dà alternative,
né spazio, né. Non rimargina la piaga purulenta, assolutamente no,
semplicemente la sospende ed annega nell’eternità, ad libitum. E
così sia.
Il dottore è morto, viva il dottore. Impiccato
Ed
il dottore non lascia solo odio e rivendicazione, seminato negli
anni con i suoi incomprensibili e ieratici dinieghi, tanto che la
popolazione sordida e stordita di Macondo lo odia e maledice. Il
villaggio peraltro è in miseria ma una volta fu città al momento
dell’arrivo della Compagnia delle banane (sic), che però
sfruttato lo sfruttabile ed anche oltre, abbandonò
l’insediamento per farlo tornare indietro di anni, secoli, fini alle remote
oscure e miserevoli origini.
Ci sono solo tre persone a vegliare
quel cadavere del solitario. Il colonnello che ospitò il dottore in
silenzio senza nulla sapere o pretendere, sua figlia asservita ai
voleri imperscrutabili del padre e il nipote del militare, che
assisteranno al suo funerale e faranno in modo che egli non rimanga a
marcire all'aria aperta così come la iraconda ed incupita
popolazione del villaggio vorrebbe, solo per soddisfare e una cieca e
oramai stupida voglia di vendetta. Riusciranno i nostri presunti anti
eroi a svegliare il sindaco e portare a compimento il funerale? la
gente saprà dimenticare?
Alla lettura l'ardua scoperta.
L’operazione
epico-sociale- fantastica definita poi in seguito "realismo
magico" che per Marquez culminò nel successo planetario e pluri
-decennale dal titolo "Cento anni di solitudine", ebbe un
preciso inizio. Ovvero questo romanzo, "Foglie morte", che
esce come suo primo (anche se probabilmente non il primo da lui
scritto o comunque messo su pagina assieme ad altri) nel lontano 1955
(in Italia nel 1982, sulla eco dell’oramai consolidata fama del
colombiano).
Trama esile e lineare, tre voci a raccontare gli
stessi episodi (sul modello, dell’incredibile e maestoso "Urlo e furore" di Faulkner,
uscito nel 1929, anche se per me l’unico precursore del colombiano rimane un
europeo che veramente ha influenzato Marquez, che era e rimane
l’inglese Conrad, specie quello di “Lord Jim”). I tre che
vegliano la salma sono ovviamente i componenti la famiglia che
assisterà il mefistofelico dottore, che arricchiranno la sua
personalità di vita, miracoli e peccati, con tutta un serie di
riferimenti che poi serviranno da fondamenta al Marquez che verrà,
autore di spicco della narrativa sudamericana, capace di scrivere
alcuni autentici capolavori non solo a mio parere. Qui lo
troviamo brillantemente proteso a confinare la sua narrativa nello
stesso luogo immaginario di questa Macondo senza arte né parte che
pure riflette tutti i villaggi del mondo, ma con nuovi e inconsueti
personaggi che però sono legati o hanno avuto legami con tutti i
principali protagonisti del citato capolavoro marqueziano, "Cent’anni
di solitudine" ed altri romanzi per così dire, emotivamente
limitrofi. Così qui abbiamo un colonnello che conosceva il
colonnello Aureliano Buendia , la guerra è stata il motivo per cui
la famiglia si è spostata a Macondo, c’è Rebecca, padre Angel
de "La mala Hora". Ed ancora atmosfere, temperature ed
epicità che poi diverranno mito letterario. Tutto poi adeguatamente
sviluppato in seguito, per i più avvezzi è una semplice mappatura
per le scritture a venire. Ma è apprezzabile anche in forma
autonoma, ne sono certo. Da consigliare a chi ama trame non contorte
o gialle ma semplicemente sinuose, per chi vuole scritture abili ma
non logorroiche, per chi anche poi è solo curioso e non ha
particolari esigenze ma neanche è legato a determinate situazioni,
generi.
Certo un Marquez ancora acerbo, ma già con tutti i
fervidi semi della sua rigogliosa narrativa. Storia semplice e nello
stesso tempo densissima, asciutta ma allo stesso tempo umida e
permeata di odori e sapori a metà tra il fetore e la fragranza,
provocando un effetto poliforme e rigoglioso.
Testo più
politico di altri, benché la connotazione politica non manchi mai
nel colombiano. Ma la perdurante accusa (strisciante quasi sempre fra
le righe) verso i colonizzatori detti bananieri è qui più presente
che in altri romanzi, dove comunque non ci si risparmia a contestare
ferocemente sia la classe dirigente indigena che le infiltrazioni
morbose e accecate di cupidigia di non meglio identificate identità
straniere che facilmente riconducono ad europei e statunitensi.
Non
a caso il titolo originale è Il frascame ( molto più ad hoc, per
certi versi), paragonabile nel nostro idioma a ciarpame, ovvero
quello che la pesante eredità della rapida e dannosa incursione
della Compagnia lascia come testamento letale e mortale alla
scompaginata, indifesa ed oramai rovinata comunità locale. Altre
evidenti stilemi la lirica eticità di comportamenti e portamenti,
tra praticità, senso dell’onore, fervore mistico religioso e
necessità economico sociali, la granitica testardaggine dei
personaggi, la quasi immobile instabilità del tempo che pare fermo e
raffermo eppur si muove, una architettura che davvero lascia allibiti
e stupefatti, sempre che certe movenze, cadenze e lentezze possano
essere nelle corde e negli interessi personali, lo ammetto. In linea
di massima l'autore è conosciuto è ammirato da milioni di persone
delle più svariate età, credo politici e religiosi, dichiarazioni
dei redditi, quindi mi sento in buona compagnia. Li ho letti quasi
tutti, di questo autore,oramai scomparso, il primo quasi per ultimo,
ironia della sorte, ma sapete, la lettura è un'avventura quasi non
decifrabile ed insomma, è stato bello così. Sia ben chiaro che
apprezzo contenuti e stile, sostanza e forma, anche si mi permetto
qualche remora. Per gusti variegati e sensibili. Non è adatto
assolutamente a chi sia interessato all'autore, è fuorviante, per
certi versi, per meramente conoscere chi l'ha scritto. Rimane una
bella lettura, di sicuro.
Citavo nel titolo parole fortemente
evocative e una struggente intensità che compongono la nota lirica
breve di Ungaretti dal titolo “Soldati”, valida, per le immense e
mai dimenticate capacità della poesia, di rendere l’idea di un
romanzo distante e assolutamente diverso. Un imponente senso di
autunno, di disfacimento, di decadenza che però rientra in un ampio
disegno né crudele né sadico, perché la natura impone le stagioni
ed a quella che preannuncia la morte, come quella appunto autunnale,
per quante lugubre e cupa e comunque parte di un processo che porterà
una primaverile nuova vita e questo durerà per
sempre, da qui all’eternità.
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