20 maggio 2014

Foglie morte (Gabriel Garcia Marquez)



Non so perché l'autunno gli ricorda la pioggia, queste terre fatte di umidità, rancore, odore e chissà cosa e comunque le foglie che poi cadono. Ed insomma. Il dottore non medica più. Arrivato da chissà dove, chissà per quale perché e in base a nessun come, non vuole più esercitare la sua professione. Deve, vuole vorrebbe ma non può curare la sua anima afflitta ed ammorbata da uno dei più cancerogeni mali spirituali che l’uomo conosca: la solitudine. C’è solo un rimedio: la morte, assoluta e senza scampo e che non dà alternative, né spazio, né. Non rimargina la piaga purulenta, assolutamente no, semplicemente la sospende ed annega nell’eternità, ad libitum. E così sia.



Il dottore è morto, viva il dottore. Impiccato

Ed il dottore non lascia solo odio e rivendicazione, seminato negli anni con i suoi incomprensibili e ieratici dinieghi, tanto che la popolazione sordida e stordita di Macondo lo odia e maledice. Il villaggio peraltro è in miseria ma una volta fu città al momento dell’arrivo della Compagnia delle banane (sic), che però sfruttato lo sfruttabile ed anche oltre, abbandonò l’insediamento per farlo tornare indietro di anni, secoli, fini alle remote oscure e miserevoli origini.

Ci sono solo tre persone a vegliare quel cadavere del solitario. Il colonnello che ospitò il dottore in silenzio senza nulla sapere o pretendere, sua figlia asservita ai voleri imperscrutabili del padre e il nipote del militare, che assisteranno al suo funerale e faranno in modo che egli non rimanga a marcire all'aria aperta così come la iraconda ed incupita popolazione del villaggio vorrebbe, solo per soddisfare e una cieca e oramai stupida voglia di vendetta. Riusciranno i nostri presunti anti eroi a svegliare il sindaco e portare a compimento il funerale? la gente saprà dimenticare?

Alla lettura l'ardua scoperta.
L’operazione epico-sociale- fantastica definita poi in seguito "realismo magico" che per Marquez culminò nel successo planetario e pluri -decennale dal titolo "Cento anni di solitudine", ebbe un preciso inizio. Ovvero questo romanzo, "Foglie morte", che esce come suo primo (anche se probabilmente non il primo da lui scritto o comunque messo su pagina assieme ad altri) nel lontano 1955 (in Italia nel 1982, sulla eco dell’oramai consolidata fama del colombiano).

Trama esile e lineare, tre voci a raccontare gli stessi episodi (sul modello, dell’incredibile e maestoso "Urlo e furore" di Faulkner, uscito nel 1929, anche se per me l’unico precursore del colombiano rimane un europeo che veramente ha influenzato Marquez, che era e rimane l’inglese Conrad, specie quello di “Lord Jim”). I tre che vegliano la salma sono ovviamente i componenti la famiglia che assisterà il mefistofelico dottore, che arricchiranno la sua personalità di vita, miracoli e peccati, con tutta un serie di riferimenti che poi serviranno da fondamenta al Marquez che verrà, autore di spicco della narrativa sudamericana, capace di scrivere alcuni autentici capolavori non solo a mio parere. Qui lo troviamo brillantemente proteso a confinare la sua narrativa nello stesso luogo immaginario di questa Macondo senza arte né parte che pure riflette tutti i villaggi del mondo, ma con nuovi e inconsueti personaggi che però sono legati o hanno avuto legami con tutti i principali protagonisti del citato capolavoro marqueziano, "Cent’anni di solitudine" ed altri romanzi per così dire, emotivamente limitrofi. Così qui abbiamo un colonnello che conosceva il colonnello Aureliano Buendia , la guerra è stata il motivo per cui la famiglia si è spostata a Macondo, c’è Rebecca, padre Angel de "La mala Hora". Ed ancora atmosfere, temperature ed epicità che poi diverranno mito letterario. Tutto poi adeguatamente sviluppato in seguito, per i più avvezzi è una semplice mappatura per le scritture a venire. Ma è apprezzabile anche in forma autonoma, ne sono certo. Da consigliare a chi ama trame non contorte o gialle ma semplicemente sinuose, per chi vuole scritture abili ma non logorroiche, per chi anche poi è solo curioso e non ha particolari esigenze ma neanche è legato a determinate situazioni, generi.



Certo un Marquez ancora acerbo, ma già con tutti i fervidi semi della sua rigogliosa narrativa. Storia semplice e nello stesso tempo densissima, asciutta ma allo stesso tempo umida e permeata di odori e sapori a metà tra il fetore e la fragranza, provocando un effetto poliforme e rigoglioso. 
Testo più politico di altri, benché la connotazione politica non manchi mai nel colombiano. Ma la perdurante accusa (strisciante quasi sempre fra le righe) verso i colonizzatori detti bananieri è qui più presente che in altri romanzi, dove comunque non ci si risparmia a contestare ferocemente sia la classe dirigente indigena che le infiltrazioni morbose e accecate di cupidigia di non meglio identificate identità straniere che facilmente riconducono ad europei e statunitensi.
Non a caso il titolo originale è Il frascame ( molto più ad hoc, per certi versi), paragonabile nel nostro idioma a ciarpame, ovvero quello che la pesante eredità della rapida e dannosa incursione della Compagnia lascia come testamento letale e mortale alla scompaginata, indifesa ed oramai rovinata comunità locale. Altre evidenti stilemi la lirica eticità di comportamenti e portamenti, tra praticità, senso dell’onore, fervore mistico religioso e necessità economico sociali, la granitica testardaggine dei personaggi, la quasi immobile instabilità del tempo che pare fermo e raffermo eppur si muove, una architettura che davvero lascia allibiti e stupefatti, sempre che certe movenze, cadenze e lentezze possano essere nelle corde e negli interessi personali, lo ammetto. In linea di massima l'autore è conosciuto è ammirato da milioni di persone delle più svariate età, credo politici e religiosi, dichiarazioni dei redditi, quindi mi sento in buona compagnia. Li ho letti quasi tutti, di questo autore,oramai scomparso, il primo quasi per ultimo, ironia della sorte, ma sapete, la lettura è un'avventura quasi non decifrabile ed insomma, è stato bello così. Sia ben chiaro che apprezzo contenuti e stile, sostanza e forma, anche si mi permetto qualche remora. Per gusti variegati e sensibili. Non è adatto assolutamente a chi sia interessato all'autore, è fuorviante, per certi versi, per meramente conoscere chi l'ha scritto. Rimane una bella lettura, di sicuro.
Citavo nel titolo parole fortemente evocative e una struggente intensità che compongono la nota lirica breve di Ungaretti dal titolo “Soldati”, valida, per le immense e mai dimenticate capacità della poesia, di rendere l’idea di un romanzo distante e assolutamente diverso. Un imponente senso di autunno, di disfacimento, di decadenza che però rientra in un ampio disegno né crudele né sadico, perché la natura impone le stagioni ed a quella che preannuncia la morte, come quella appunto autunnale, per quante lugubre e cupa e comunque parte di un processo che porterà una primaverile nuova vita e questo durerà per sempre, da qui all’eternità.

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