Invecchiare. Che brutta parola. Che segna il destino di tutti, uno per uno. Almeno che il filo tenue che ci lega alla vita venga reciso prima ed allora il problema non si pone in essere. Tutti vorrebbero fermare il tempo, possibilmente ad un età giovane, gagliarda, quasi splendente. Finché è un desiderio, va bene, gli esseri umani sono una speranza continua senza mai arrivo. Ma se diventa una ossessione, allora il discorso cambia.
Ma cosa ha fatto Gladys, ora in
tribunale, condannata per omicidio? Nulla di male, pensa lei, con grave sdegno della platea assetata di gossip, di tenebrose telenovele sentimentali, erotiche, socio-economiche. Semplicemente Gladys ha voluto ad ogni costo bloccare il tempo, sconfiggere l'età, rimanere per sempre giovane. Ma soprattutto rimanere sempre bella, bellissima, attraente, fatale. Lei vuole essere oggetto, prezioso, unico, agognato oggetto delle voglie maschili e delle invidie femminili. Ma nessuno le ha spiegato. Nessuno l'ha trattenuta nella sua folle rincorsa al'impossibile. Bisognava fermarla. Bisognava farla ragionare. Non c'è nulla di peggio di un'ossessione che non si piega a nulla e che nessuno osa controbattere. Non è pentita Gladys, semmai si vergogna di essere stata scoperta. Ora tutti sanno, sarà inutile fingere, architettare artifici, nascondere, truccare, dissimulare. Ha provato a farsi beffe del Tempo e quello non perdona, anzi, è crudelmente vendicativo.
Non ha solo ucciso, la nostra signora. Ha praticamente distrutto la vita della figlia, che amava teneramente un uomo e non chiedeva altro che vivere la propria vita, anche negli sbagli, nelle disgrazie, nelle avversità. Ma mamma Gladys non è una madre, ma una tiranna. L'ha tirata su chiudendola in una stanza, ferendola senza pietà, tenendola a debita distanza e cercando di mantenerla piccola, fanciulla, per non ingrassare la sua anagrafica, non aggiungere anni. Gladys è fuggita davanti all'evidenza, ha fatto carte false, mischiato destini, disperso passati e futuri in nome della sua folle e invincibile necessità. Una cura dimagrante per il tempo che passa. Gladys ha provato a rendere anoressica la fame delle lancette dell'orologio, che hanno sempre appetito ad andare avanti. Ad ogni costo, senza nessuna remora, nessuna ruga sul cuore. Non è debole, Gladys, tutt'altro, ha una forza quasi erculea. Peccato che pensi che il mondo giri attorno a lei e lei lo possa fari girare come vuole, a destra,a sinistra oppure fermarlo. Non è la Bovary, non è nessuna delle protagoniste letterarie del passato, è Mefistofele animato da un sacro insano fuoco.
E le vicende terribili di cui è protagonista mostrano che alla fine la prima a credere al proprio inganno è proprio lei stessa. Non accettare la vita come è vale lo stesso di subirla supinamente senza provare ad avere iniziative di forza uguale e contraria. Posto che siamo sempre e comunque vittime del caso. E Gladys pensa,quasi fosse un dio, di poter sconfiggere l'ovvio attraverso qualche mero artificio, anche se dalle conseguenze drammatiche.
Racconto lungo allungato e stiracchiato fino a diventare un improbabile romanzo breve, Jezabel (nome tratto da una tragedia di Racine) è il primo testo che leggo della autrice Irene Nemirovsky (1903-1942), ebrea della Russia, morta ad Auschwitz e recentemente riscoperta e assai gradita a molte lettrici ma anche lettori. Molteplici le chiavi di lettura del romanzo, anche se la struttura come notato lascia a desiderare e l'insieme appare nel complesso non armonico, sbilanciato. Ma il tema dell'egoismo umano e della ardua speranza di battere la natura e lo scorrere del tempo in Letteratura ha trovato fertili narrazioni di livello forse superiore, Dorian Gray docet ma anche l'analogo ma ben più solido La diva Julia di Maugham. Questo il parere di un maschio almeno, che del tempo se ne è fatto una ragione e della bellezza fisica un accessorio più o meno indispensabile.
Tuttavia il fatto che la mia interpretazione dissenta da molte altre è indice della capacità dell'autrice di toccare temi cari a lettori variegati, il che rivela un'indiscutibile talento.
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