Assaporare l'odore quasi
reso di materia corporea di una terra ricca di storia e gravida di un' anima
secolare e fierissima di sé, nonostante le sconfitte arrecate dal corso
talvolta inumano della storia e le tante storie malinconiche e tristi, a volte
puerilmente romantiche a volte invece densamente tragiche delle genti che
popolano una nazione che per sempre rimarrà nel mio cuore: il Messico.
Infatti brilla già il solo ricordo di aver terminato la lettura una ventina di minuti
prima di atterrare sul suolo messicano, causa un regalo improvviso e quanto mai
azzeccato.
Ma poi. L'emozionate tour, peraltro con una delle aziende più rinomate per
“prodotti” del genere in quei paesi come la Marcelletti, che fece parte del mio
viaggio di nozze, le parole, le voci e gli sguardi di alcuni dei messicani
incontrati ebbene ebbero una brillante, profetica e intrigante prefazione
sorseggiando voracemente le veloci pagine di questa guida strutturata come una
normale raccolta di racconti di viaggio che poi diventano un vero vademecum preziosissimo
per chi voglia conoscere un poco, scalfendo la superficie delle cose questa
terra martoriata e solo apparentemente sempre vinta.
Così le storie delle bevute, dei tradimenti, degli indigeni e dei meticci,
delle leggende e degli Aztechi si fanno corpo ed anima, una delle poche
occasioni in cui il libro, dalle funzioni narrative, si fa vita e realtà, già
dell'arrivo a Città del Messico , che appare proprio tentacolare e vertiginosa,
smisurata e viva, come quasi “El monstruo”, il titolo del primo capitolo del
libro che vado recensendo, una sorta di raccolta di appunti che si fa racconto
e che in realtà mette su carta l’anima di una nazione smisurata e diversa
eppure così affascinante, quando dal finestrino dell'aereo scorgi questo
agglomerato immenso il cui cuore pulsante è poco più grande di Roma ed il suo
hinterland con sei milioni circa di abitanti, già immenso, ma è il resto a far
paura, quei 14, 15 e forse più milioni di immigrati interni, mai censiti, tutti
ammassati in sorta di capanne fra cemento, latta e paglia, che alla fine fanno
una regione, più regioni, tanto che qui siamo al Distretto federale, gesù, un
paese che diventa città, una città nazione come al tempo dei babilonesi, ma qui
non ci sono gli ziqqurat (o come si scrive), i giardini pensili, solo una
enorme distesa di. E le continue bevute in tuguri o quasi locali che il
protagonista del testo con qualche punta di sarcasmo e qualche malinconia si
accinge a raccontare sono forse un escamotage narrativo indolore per presentare
in maniera indolore e non falsamente occidentale uno dei cancri del Messico,
verificabile solo dando una letta anche distratta ai murales dall’idioma
straniero ma non estraneo, con funzione di manifesto, che danno l'idea della
piaga aperta e purulenta dell'alcolismo a questa latitudini, molto più della
droga per esempio.
Ma non si finisce qui.
Le parole di Josè, la prima guida che ci viene affibbiata, quasi una faccia che
prima avevo letto stampata su carta, uno dalla battuta arguta, la tempistica
efficiente, lo sguardo maliardo ed il volto con i lineamenti molto somiglianti
al Masciarelli cabarettista del video di qualche anno fa.e la strana luce che
gli si agita negli occhi quando mormora a denti stretti per la prima volta la
parola “riconquista” che assieme raccoglie tutte le parole speranze messicane.
Togliere, anzi riprendere agli usa il territorio ricco e petrolifero che una
guerra ingiusta e palesemente squilibrata consentì alla nazione confinante ed
debordante di ottenere centinaia di ettari che non gli appartenevano. In nome
del petrolio. In nome di un furto. Ed libro va che è una meraviglia.
Come quando giorni dopo ascolto gli strali acuminati e pungenti di Ramirez,
l'altro nostro mentore per il bellissimo sito Maya di Palenque , studioso del
nostro Dino Buzzati, in quanto mera guida turistica ma laureato con lode in
letteratura straniera (italiana), dalle pelle scurissima e lineamenti
tipicamente indigeni, innamorato del rap, uno odia gringos (statunitensi),
italiani e francesi, ci consiglia uno schifoso ristorante a Merida, ma ci
insegna o almeno prova, tante cose, guardando verso l'orizzonte con sguardo
trasognato, fiero della sua nazione fino quasi a morirne, ecco, anche lui senza
volerlo è nel libro che vado recensendo ed esiste davvero. Come un autista del
nostro raccomandato pulmino con tanto di logo occidentale, mentre attraversiamo
il Chiapas nelle sue anguste verdeggianti strade interne, siamo sicuri, ma
dalle sue parole ascoltiamo il martirio
degli emigranti, gente affamata, non censita e non risultante all’anagrafe
nazionale, che prova per fame a varcare il confine con la California ed
inchiodata lì non solo per passaporti scaduti o possesso di sostanze illegali
ma semplicemente perché fucilata dalle guardie nazionali di quel paese vicino
ed ostile.
Ed ancora, di più. La bellezza delle zone interne del Chiapas e dello Yucatan
oppure delle zone del nord Messico, dove non sono stato. Tutto miracolosamente
vive su pagina, ve lo assicuro, senza alcuna remora. nella apparente semplicità
e confidenzialità “La polvere del Messico” è un interessante viaggio
introspettivo e fatto da chi, si vede, ama profondamente quella terra.
d'altronde Cacucci, l’autore, ha praticamente ha fondato l'intera sua
narrativa., ambientandola in quelle terre. Basti ricordare Puerto Escondido,
ambientato nell’entroterra messicano, romanzo ancor esso di una certa vitalità,
malmenato e denigrato da una versione filmica da un Salvatores stanco e
svogliato.Libro straconsigliato a chi ha la fortuna di arrivare da quelle
parti. Molti brevi racconti che al di là della lunghezza hanno la capacità ed
intensità di raccontare una nazione che sa, vuole e deve essere raccontata.
Perfettamente leggibile ed agile, diviso in te parti, senza avere la paranoia
della guida né l’aspirazione di un romanzo, vi racconta in poco quel tanto che
andrete a vivere.
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