martedì 23 giugno 2015

La polvere del Messico (Pino Cacucci)


Assaporare l'odore quasi reso di materia corporea di una terra ricca di storia e gravida di un' anima secolare e fierissima di sé, nonostante le sconfitte arrecate dal corso talvolta inumano della storia e le tante storie malinconiche e tristi, a volte puerilmente romantiche a volte invece densamente tragiche delle genti che popolano una nazione che per sempre rimarrà nel mio cuore: il Messico.
Infatti brilla già il solo ricordo di aver terminato la lettura una ventina di minuti prima di atterrare sul suolo messicano, causa un regalo improvviso e quanto mai azzeccato.


Ma poi. L'emozionate tour, peraltro con una delle aziende più rinomate per “prodotti” del genere in quei paesi come la Marcelletti, che fece parte del mio viaggio di nozze, le parole, le voci e gli sguardi di alcuni dei messicani incontrati ebbene ebbero una brillante, profetica e intrigante prefazione sorseggiando voracemente le veloci pagine di questa guida strutturata come una normale raccolta di racconti di viaggio che poi diventano un vero vademecum preziosissimo per chi voglia conoscere un poco, scalfendo la superficie delle cose questa terra martoriata e solo apparentemente sempre vinta.
Così le storie delle bevute, dei tradimenti, degli indigeni e dei meticci, delle leggende e degli Aztechi si fanno corpo ed anima, una delle poche occasioni in cui il libro, dalle funzioni narrative, si fa vita e realtà, già dell'arrivo a Città del Messico , che appare proprio tentacolare e vertiginosa, smisurata e viva, come quasi “El monstruo”, il titolo del primo capitolo del libro che vado recensendo, una sorta di raccolta di appunti che si fa racconto e che in realtà mette su carta l’anima di una nazione smisurata e diversa eppure così affascinante, quando dal finestrino dell'aereo scorgi questo agglomerato immenso il cui cuore pulsante è poco più grande di Roma ed il suo hinterland con sei milioni circa di abitanti, già immenso, ma è il resto a far paura, quei 14, 15 e forse più milioni di immigrati interni, mai censiti, tutti ammassati in sorta di capanne fra cemento, latta e paglia, che alla fine fanno una regione, più regioni, tanto che qui siamo al Distretto federale, gesù, un paese che diventa città, una città nazione come al tempo dei babilonesi, ma qui non ci sono gli ziqqurat (o come si scrive), i giardini pensili, solo una enorme distesa di. E le continue bevute in tuguri o quasi locali che il protagonista del testo con qualche punta di sarcasmo e qualche malinconia si accinge a raccontare sono forse un escamotage narrativo indolore per presentare in maniera indolore e non falsamente occidentale uno dei cancri del Messico, verificabile solo dando una letta anche distratta ai murales dall’idioma straniero ma non estraneo, con funzione di manifesto, che danno l'idea della piaga aperta e purulenta dell'alcolismo a questa latitudini, molto più della droga per esempio.


Ma non si finisce qui. Le parole di Josè, la prima guida che ci viene affibbiata, quasi una faccia che prima avevo letto stampata su carta, uno dalla battuta arguta, la tempistica efficiente, lo sguardo maliardo ed il volto con i lineamenti molto somiglianti al Masciarelli cabarettista del video di qualche anno fa.e la strana luce che gli si agita negli occhi quando mormora a denti stretti per la prima volta la parola “riconquista” che assieme raccoglie tutte le parole speranze messicane. Togliere, anzi riprendere agli usa il territorio ricco e petrolifero che una guerra ingiusta e palesemente squilibrata consentì alla nazione confinante ed debordante di ottenere centinaia di ettari che non gli appartenevano. In nome del petrolio. In nome di un furto. Ed libro va che è una meraviglia.

Come quando giorni dopo ascolto gli strali acuminati e pungenti di Ramirez, l'altro nostro mentore per il bellissimo sito Maya di Palenque , studioso del nostro Dino Buzzati, in quanto mera guida turistica ma laureato con lode in letteratura straniera (italiana), dalle pelle scurissima e lineamenti tipicamente indigeni, innamorato del rap, uno odia gringos (statunitensi), italiani e francesi, ci consiglia uno schifoso ristorante a Merida, ma ci insegna o almeno prova, tante cose, guardando verso l'orizzonte con sguardo trasognato, fiero della sua nazione fino quasi a morirne, ecco, anche lui senza volerlo è nel libro che vado recensendo ed esiste davvero. Come un autista del nostro raccomandato pulmino con tanto di logo occidentale, mentre attraversiamo il Chiapas nelle sue anguste verdeggianti strade interne, siamo sicuri, ma dalle sue parole ascoltiamo il martirio
degli emigranti, gente affamata, non censita e non risultante all’anagrafe nazionale, che prova per fame a varcare il confine con la California ed inchiodata lì non solo per passaporti scaduti o possesso di sostanze illegali ma semplicemente perché fucilata dalle guardie nazionali di quel paese vicino ed ostile.
Ed ancora, di più. La bellezza delle zone interne del Chiapas e dello Yucatan oppure delle zone del nord Messico, dove non sono stato. Tutto miracolosamente vive su pagina, ve lo assicuro, senza alcuna remora. nella apparente semplicità e confidenzialità “La polvere del Messico” è un interessante viaggio introspettivo e fatto da chi, si vede, ama profondamente quella terra.
d'altronde Cacucci, l’autore, ha praticamente ha fondato l'intera sua narrativa., ambientandola in quelle terre. Basti ricordare Puerto Escondido, ambientato nell’entroterra messicano, romanzo ancor esso di una certa vitalità, malmenato e denigrato da una versione filmica da un Salvatores stanco e svogliato.Libro straconsigliato a chi ha la fortuna di arrivare da quelle parti. Molti brevi racconti che al di là della lunghezza hanno la capacità ed intensità di raccontare una nazione che sa, vuole e deve essere raccontata.
Perfettamente leggibile ed agile, diviso in te parti, senza avere la paranoia della guida né l’aspirazione di un romanzo, vi racconta in poco quel tanto che andrete a vivere.

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