24 giugno 2015

Il giocatore invisibile (Giuseppe Pontiggia)

Il professore corre, si stanca, piange, si infuria. All’improvviso, sulle fondamenta nella sua cementificata attività lavorativa di sommo vate universitario, appaiono crepe destabilizzanti. E’ lui l’inesorabile ed irresoluto protagonista, anche quando non è presente o anche quando tace.
Questo è un romanzo dove la sostanza e le impressioni sono quelle non dette e non riportate, dove il silenzio e l’assenza sono molto più significative delle presenze di cera che si sciolgono al calore del fuoco della vita oppure delle parole che vengon dette solo per opportunità, casualità, abitudine.


Ma dove corri professore? Sembri quasi un’icona del malessere della mezza età e a me ricordi i tanti troppi che fortunati o caparbi, son convinti che il mondo giri solo attorno a se stessi, uomini o donne che siano,bambini, di mezza età o anziani, salvo accorgersi di essere dei comuni satelliti come tutti, orbitanti attorno alla speranza di essere felici. Lo sai bene che oramai il più è fatto o se preferiamo disfatto. Non arrabbiarti, “prof.”, sapevi bene che questo lucido equilibrio, questa apparente calma, questa docile e serena cattedratica vita e vitalità che consente solo di pontificare e mai, assolutamente mai mettersi in dubbio era di per sé un miracolo. Ed i miracoli, ammesso che si possano verificare, li fanno solo i santi e tu di divino non hai nemmeno l’ombra, come me, come tutti, come noi comuni mortali che non passiamo la vita sui libri di classici della storia della grammatica e della linguistica dibattendo con furia ed orgasmatiche prese di posizione la vile importanza di un accento o la sacra sacralità dell’etimologia di una parola, anche se in disuso magari.

In questo romanzo tutto si gioca su un clamoroso e inaspettato attacco, ad una lesa maestà che si compie su una importantissima ed impolverata rivista universitaria letta da pochi, da quasi nessuno, se non valga promozioni o prebende di carriera. L’apparentemente granitico professore di filologia, scienza esatta della sttoria della singola parola, viene pesantemente attaccato sulla sua interpretazione della parola ipocrita, anche perché “l’ipocrita è una cosa e ne sembra un’altra” sentenzia l’irriverente rivoluzionario, che sottende anche pesanti ilazioni alla rigida ma scomposta vita dell’illustre scienziato filologo e da lì una serie di confronti e scontri con gli amici, con la propria moglie e le mogli degli altri, una crudele ma appassionate sequela di perle della sconfitta da mettere in fila come in una collana e mettersela al collo e dire ecco, questo sono io.

“Solo la menzogna è perfetta” dice Salutati o “la vecchiaia è una gran brutta sorpresa” dice Daverio, personaggi che appaiono o scompaiono, in un tetro ed angusto ambientamento di colore kafkiano. E il professore? In questa eterna partita a scacchi senza vinti o vincitori, senza scacchi bianchi o neri, confessa di amare solo di “rifare le partite degli altri”. Lo dice con orgoglio, ma sarebbe da vergognarsi.
Ma non arrabbiarti professore. Non sempre arriva il momento della verità, non per forza c’è il momento della resa dei conti, non è assolutamente certo che un giorno, una sera, una notte quel labile ed incerto velo che noi curiamo, infiliamo, strappiamo e ricuciamo e che chiamiamo verità sia in realtà un tessuto come quelli ormai liofilizzati di certe produzioni contraffatte. Niente resiste all’usura del tempo, puoi essere un perfetto sarto ma certi vestiti non li puoi indossare più ogni bivio ed incrocio che ci si propone nel cammin di nostra vita.
"Il giocatore invisibile" è una grigia ma accecante partita dove grandi studiosi che in nome del loro assoluto e dittatoriale rigore scientifico perdono costantemente il contatto con la realtà, con qualsiasi tipo di realtà, fino a sprofondare e scivolare vittime più che degli attacchi o scortesie degli altri, della loro insuperabile inettitudine.
Adatto ad adulti anche senza importanza, che non si prendono sul serio ma che amano il confronto piuttosto che l’egocentrismo, uscito nel 1978 ma ancora attualissimo per struttura, scrittura e contenuti, questa opera di Giuseppe Pontiggia ( 1934-2003) è un testo dalle sfumature quasi noir, dai contenuti esistenzialisti, dalla struttura assolutamente leggibile e godibile. Un altra piccola perla da parte dell'autore di Vita di uomini non illustri e La grande sera. Impietoso, tra l’altro, il ritratto del cosiddetto mondo professorale e cattedratico italiano, chiuso in se stesso, talvolta claustrofobico, pieno di paure, paranoie, falsità, carrierismi, adulazioni, rapporti sostanzialmente non sinceri e dall’aspetto cinereo, funebre.

Un Pontiggia più lineare del solito, nella scrittura,qui dedito ad un mostrare flaubertiano più che allo scandaglio senza illuminismi di sorta degli inganni ed autoinganni che il molteplice e dimidiato essere umano perpetra ai danni di se stesso soprattutto ma anche della sua comunità, spesso non per sadica cosciente volontà di male o di nulla, ma per mera e pura incapacità di, insanità a, inabilità per.
Gli uomini sono né incompleti né tantomeno imperfetti. Gli uomini sono inganno ed ingannati, anche e soprattutto grazie all'espediente del linguaggio, forma di comunicazione che dovrebbe disgelare o aiutare la comprensione di se e del mondo degli altri e che invece, alla fine, più che preciso si rivela dissimulatore, più che avere un senso ne dispiega vari ed eventuali, proprio come un trucco, un inganno.


Pubblicata su Ciao.it il pubblicata 29/03/2009

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