29 giugno 2015

La prosivendola (Daniel Pennac)

Di nome e cognome fa Benjamin Malauessene. Niente di anormale. Peccato che invece sia atipico il resto. L'età è indefinita, di stato civile è celibe ma è comunque innamoratissimo della procace giornalista Julie. Suo malgrado è come un padre famiglia di un nucleo composito e spropositato, ai limiti del surreale. Vivono tutti assieme allegramente e certo non si annoiano. Impossibile. Ci sono estremi, estremisti, quanto basta per tessere l'elogio della diversità. E poi il suo lavoro. Il capro espiatorio, non so se mi spiego. E la continua sfortuna di imbbattersi in accadimenti complicatissimi.

Tanta per dire Clara, la sua sorella preferita, s'è decisa a sposarsi. Fin qui tutto bene. Ma il prescelto non solo ha il bizzarro nome di Clarence di Sant'Inverno ed è notevolmente più grande di lei con i suoi 58 anni, ma di professione fa il secondino in un carcere dove grazie al suo operato ladri, assassini e criminali di vario genere, razza e natura sfogano nella prigionia le loro velleità artistiche. La tribù familiare è tutta pronta nella sua scomposta varietà, dal Piccolo dai capricci letali al flautolento cane Julius, da Thérèse, sorta di maga postmoderna al ribelle Jéremy e con l'ultima arrivata, la neonata Verdun, che tutto il giorno se ne sta abbarbicata ai calzoni di Van Thian, vietnamita e poliziotto. Peccato che lo sposo venga trucidato poco prima del lieto evento, alla faccia dell'arte. E peccato che per lavoro e DNA Benjamin faccia il capro espiatorio. Esatto. Deve sempre e comunque prendersi tutte le colpe. Quando la tiranna Regina Szabo, direttrice della casa editrice dove Maulaussene suo malgrado lavora gli fa una proposta indecente, deve giocoforza accettare. Dovrà prendere il posto in carne ossa del famoso autore JLB, di cui si ignora l'identità. Nessuno lo conosce tranne appunto la Szabo, ma a quanto apre è oggetto di crudeli attenzioni. E va da sé che quando Benjamin viene colpito da un proiettile alla testa durante una conferenza stampa, l'avventura può partire. 
Colpi di scena, scenari grotteschi al limite del surreale,storie effervescenti che confluiranno nel finale lieto ma pur sempre dolce-amaro. Negli anni in cui questo libro ottiene il successo mondiale, nel mondo cinematografico esplode il genio incontinente ed incontenibile di Quentin Tarantino con Pulp fiction. E, vi dirò, si vede. 
Stili diversi, ma il fine è unico.

Una delle più famose ed esilaranti storie che hanno segnato la narrativa di inizio anni Novanta, ovvero la saga di Malaussene e della sua combriccola nel sobborgo di Belleville. In una Francia che appare molto mediterranea, affine alla nostra godereccia e pacchiana italiota scanzonata allegria, a dimostrazione che l'algido ed elitario atteggiamento parigino talvolta è mero stato mentale più che realtà.
Pubblicato in Italia come secondo, ma il realtà cronologicamente il terzo, denota già alcune crepe che rovineranno definitivamente una serie brillante ed originale che a partire dal quarto volume ha mostrato evidenti d inevitabili segni di stanchezza ed iterazione. 
Questo romanzo non è solo evidentemente un anti-giallo o meglio una corrosiva parodia del genere, ma anche una brillante e se vogliamo aggressiva invettiva sul mondo dell'editoria, ridicolizzato nei suoi estremi e dipinto come un ambiente dove l'arte e la creatività sembrano avere un ruolo del tutto marginale, in favore di mirabolanti politiche imprenditoriali. Irriverente, talvolta brillante, qua e là irresistibile. Senza moralismi e talvolta con pagana attenzione alla materialità.

Pennac, narratore per così dire eccentrico ed originale, dalle brillanti trovate che potremmo assimilare a quelle del nostrano Stefano Benni quando era nel pieno della creatività, pareva allora avere un lungo e luminoso futuro. In realtà poi, se si eccettua qualche fiaba per bambini e l'istruttivo e non professorale saggio "Come un romanzo", per l'autore si spalancarono anni bui e non ispirati che solo di recente sembrano allontanati. Rimane tuttavia uno degli alfieri e maggiori esponenti di una corrente artistica di fine secolo che seppe destrutturare i canoni classici di alcuni prodotti seriali dandogli, per converso, nuova linfa e vigore.


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