20 maggio 2014

Foglie morte (Gabriel Garcia Marquez)



Non so perché l'autunno gli ricorda la pioggia, queste terre fatte di umidità, rancore, odore e chissà cosa e comunque le foglie che poi cadono. Ed insomma. Il dottore non medica più. Arrivato da chissà dove, chissà per quale perché e in base a nessun come, non vuole più esercitare la sua professione. Deve, vuole vorrebbe ma non può curare la sua anima afflitta ed ammorbata da uno dei più cancerogeni mali spirituali che l’uomo conosca: la solitudine. C’è solo un rimedio: la morte, assoluta e senza scampo e che non dà alternative, né spazio, né. Non rimargina la piaga purulenta, assolutamente no, semplicemente la sospende ed annega nell’eternità, ad libitum. E così sia.


18 maggio 2014

Una questione privata ( Beppe Fenoglio)


Freddo a volte. Ma poi fango. E sentieri scoscesi, salite impervie e discese insidiose. Con questa rabbia che ti morde il cervello, questa passione che non ti riscalda il cuore ma ti mangia i pensieri e si digerisce la ragione. E quante sigarette che si spezzano, trafitte dalla pioggia o fragili nelle cadute nel fango, anche se sono di marca inglese, una rarità in questi tempi bui e dannati, che dureranno ancora poco, ma quanto basta a solcare divisioni e a inondare di sangue questa terra sì generosa, ma aspra e nuda. E segneranno la storia queste guerre, sappiatelo, fino ad oggi. E allora cantami, o  Beppe, l'armi e l'amore.
"La pioggia era minutissima, quasi impercettibile sulla pelle, ma sotto di essa il fango della strada continuava a lievitare a vista d'occhio"

17 maggio 2014

Di tutte le ricchezze (Stefano Benni)


E va bene, facciamo così, facciamoci del male. Martin è vecchio, anzi anziano. Vive da mezzo misantropo in un bosco quasi fatato, anzi, spiritato , dove gli animali parlano e danno saggi consigli. Ma la sua vita raminga e solitaria è sostenuta dal'orgoglio di quello che ha sbagliato tanto e spesso, lo sa ed allora si diverte a vedere gli altri sbagliare. In ogni caso il suo agonizzante disincanto è come rigenerante, anche se non sa cucinare è sempre sazio di ricordi e non vive di impossibili o passibili futuri, con filosofia, una certa acidità rancida e consueta.Verseggia in ogni dove, è un artistoide, Dio ce ne scampi e liberi di questi intellettuali alla ricerca dell'intelletto perduto. Peraltro è esempio della peggiore e fetida razza di tale genia, quella dei professori universitari in pensione con al fissa per un poeta estinto e maledetto del luogo, tal Catena, morto perlomeno male, con una vita un po' alla Dino Campana come tipo, anzi, pare proprio Dino anche se i suoi fasti, si fa per dire, furono in epoche lontane, a quanto pare. 


Icaro involato (Raymond Queneau)


Scrittura. Magie. Varie ed eventuali. Ah già, a volte bisogna parlare della trama. Però, vi avverto qui la trama è surreale e io non ho voglia di raccontarla. Perché qui abbiamo meta-trame che s'intersecano, sentieri che s'inerpicano e poi a valanga discendono, meta-fiction. E in una lotta senza quartiere come è il rugby della nostra vita, questo è un romanzo che arriva a meta e non a metà, pardon. E' intero, come un bel frutto da sbucciare, dolce o amaro che preferiate, solo se avete pazienza, lungimiranza, desiderio di fragranza, concupiscenza nell'affrontare la lettura. No, non sono parente di Queneau, non ci provate. Non so manco che faccia abbia, perché degli scrittori di una volta spesso non conosciamo il volto. Ci piacciono. Perché ci dicono cose e noi ascoltiamo, loro ci immaginano sapienti e gorgoglianti mondi e noi li viviamo, ci costruiscono metafore e a noi, a volte, non ci resta che distruggerle, con qualche rammarico, una volta richiusa la quarta di copertina.