Toru, Naoko, Nagasawa, Midori, Reiko. Cinque protagonisti di cui
quattro ragazzi studenti ed una quasi quarantenne dal corpo scattante, ma
dall'animo incupito da un passato difficile e strozzato da problemi
psichiatrici. Estrazione sociale diversa, destini differenti. Siamo nel
Giappone, raccontato da un nipponico di Tokyo, nato nel 1949, che ha viaggiato
molto (romanzo scritto fra l'Italia e la Grecia, per esempio, nel 1986) e che già con il suo
esordio narrativo nel 1979,
ha destabilizzato la tradizione narrativa
nipponica.
Ambientazione nel sessantotto e dintorni. Il pop rompe gli argini e diventa
fenomeno di massa interplanetario con i Beatles. Di cui Norwegian wood è un più
o meno famoso pezzo.
Sugli schermi esce "Il laureato" con Dustin Hoffmann, film a cui il
libro deve più di qualche atteggiamento e spunto, non solo perché più volte
citato, ma perché lì come qui si narra dell'impatto dello studente con il mondo
degli affetti adulti o adulterati, dove il problema è non solo dare spazio e
sfogo agli ormoni in rivolta ma capire e conoscere la profondità dell'altro,
avere quella che si chiama un relazione. Un gruppo pop ed un film sono i due
corposi punti focali assieme ad una marea di citazioni letterarie, per capire e
comprendere l'assoluta letterarietà e contemporaneità del testo.
Sullo sfondo di boschi incolti e città tentacolari, lunghe passeggiate mano
nella mano nei già turbanti e perturbanti centri commerciali giapponesi, in
collegi che anacronisticamente dettano delle regole mentre la gioventù si
ubriaca e si accoppia più o meno allegramente ossequiando più che gli antichi
riti pan-religiosi la legge del mordi e fuggi, stanotte tu e domani un'altra.
E poi.
Le paranoie e le frustazioni indecise di Toru, io narrante, che si riversano
sull'impossibilità di amare la bella e frigida Naoko, progressivamente facile
preda di incubi dell'inconscio e sulla diffcoltà di capire l'innamoramento per
Midori, frizzante e sessantontina nell'anima, posseduta dalla voglia di vivere,
mentre un amico torbido e presente come Nagasawa non fa che alimentare ed
aumentare il rammarico e il vuoto lasciato dalla morte dell'unico vero amico
avuto, Kizuki, ex fidanzato di Naoko in un legame spiritualeggiante e mistico,
più che carnale ed adolescenziale. E poi Reiko, la ragazza mai sbocciata ed
ormai verso i quaranta con una certa paura.
Certo la storia è lenta con approfondimenti circolari e concentrici, che si
restringono sempre più fino quasi a strangolare qualsiasi speranza di riscatto,
qualsiasi efflato teso ad un futuro.
Un tenebroso e cupo senso di morte, oltre che di malinconia, pervade le pagine.
Una perdita dell'innocenza più che vissuta subita e neanche troppo accettata.
Norwegian wood (il cui sottotitolo è Tokyo blues, molto più evocativo) è un
romanzo impegnativo, profondo, intessuto di fragilità molto compatte, molto
solide, che narra di un progressivo sbriciolamento di fronte alla realtà che
non porta però nessuna disintegrazione assoluta ma un barlume di prossima e
meno friabile rigenerazione.
Di solito leggere uno scrittore di estrazione così lontana è spinta ed animata
dalla curiosità, dalla voglia di assaporare attraverso le parole spiriti,
tensioni e panorami di terre se non irraggiungibili certo sconosciute. Il
fascino discreto dell'esotico la fa da padrone. Ma in Murakami il Giappone che
leggiamo è già decisamente occidentale, vuoi per la natura extraterritoriale
dell'autore vuoi per una spinta irrefrenabile della stessa società nipponica
tesa ed ammaliata da ritmi e tenori filo americani, se non europei.
Questa progressiva perdita di identità nazionale non so se sia un bene.
In ogni caso, per curiosi richiami e coincidenze, di recente ho visto il film
"Babel" , ecco anche quel Giappone occidentale è lo stesso di
Murakami.
Lo stesso che a suo tempo percepii nella Yashimoto, forse la più nota
scrittrice nipponica in Europa. Certo poi altri innervature profonde meritano
di essere sottolineate. Come per esempio un filosofico e quasi canonico ricorso
al suicidio per sfuggire alle ineluttabili verità della vita. Una scappatoia
drammatica e senza ritorno, che accentua il senso di sconfitta e la rapace
malinconia che pervade l'intero testo. E poi questo io narrante, Toru, che è stato avvicinato ai grandi del romanzo di formazione, da quelli
ottocenteschi come il David Copperfield di Dickens o il più contemporaneo
Holden di Salinger. Io personalmente in maniera molto forte ho trovato il Ben
(alias Dustin Hoffmann) del film il Laureato, in una storia più complicata ma
nel complesso meno torbida ed ancestrale. Ma è in generale che la
struttura del romanzo è rapportabile a grandi classici ottocenteschi,
soprattutto russi, in particolare l'indagine inquieta e sottotraccia dell'ombra
dentro noi che ha svolto Dostoevskji nei suoi romanzi più e meno famosi.
E poi altri temi atavici, avari, usurati.
Realtà contro fantasia, ragione (nel senso di esercizio delle facoltà
razionali) contro la pazzia. E poi la assoluta dicotomica, schematica
complementarità dei due amori di Toru, Naoko e Midori, due modi estremi di
essere donna, talmente estremi da non essere quasi possibili, reali.
Queste le riflessioni più importanti che allora mi sovvengono. Un doppio
binario di lettura. Una parabola decadente e malinconica che racconta di un
sostanziale e progressivo depauperamento delle proprie realtà esistenziali e
geografiche, un inaridimento delle proprie terre natie, un rinsecchimento delle
proprie radici ai fini di un approccio all'Eldorado che poi forse terra dell'oro
non è, e che si chiama Occidente e si chiama maturità. Una spersonalizzazione
progressiva ed inesorabile.
Non entusiasmante in toto, forse discontinuo, ma ben scritto e con una poetica
di fondo ben lontana da logiche editoriali di mercato e tesa ad esplorare
alcune tendenze dell'uomo contemporaneo, occidentale o nipponico che sia.
***
pubblicata su ciao.it il 4 Marzo 2007
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