01 luglio 2015

A sangue freddo (Truman Capote)

La famiglia Clutter è quasi plastica nel suo morigerato incarnare il modello familiare agricolo di un nucleo che vive nel Middle west statunitense, Holcomb precisamente, nelle sterminate pianure del Kansas che sono una sorta di granaio per l'intera sterminata nazione. Herbert è il padre padrone, self made man, lineare quanto e quando si può, fiero di sé stesso, apparentemente senza mai un dubbio, una debolezza, una. Poi ci sono la moglie Bonnie, classica madre di famiglia e due figli poco più che adolescenti, Nancy, e poi il ragazzo, Kenyon. Due ragazzi come tanti, forse un po' di più, forse un po' di meno. Finiranno male, purtroppo. Tutti. L'ennesima tragedia dettata dalla follia umana. Siamo della stessa sostanza dei sogni poetava il buon Shakespeare, ma a volte somigliamo più ad incubi paurosi. Perché questa famiglia, con le sue rigidità, le sue aspirazioni, le sue abitudini, il suo lavoro, sparirà in poche ore da incubo. 



Piombano infatti nel ranch due balordi. Due poveracci se volete. Avanzi di galera. Di quelli che rubacchiano senza mai fare il grande colpo e che entrano ed escono dal penitenziario. Imbeccati da una storiella di quella che girano fra cotali animali privi di remora, Perry Edward Smith e Richard Eugene Hickock, detto Dick, fanno irruzione di notte, alla ricerca di una cassaforte e di migliaia di dollari che in realtà non ci sono. Uno ad uno stermineranno i componenti della famiglia,con una crudele violenza ed un sadismo degenere. La mattina del 15 novembre 1959 quattro cadaveri svegliano il paesello basito. La polizia brancola nel buio. Per poco. 
Due così non possono restare impuniti ci mancherebbe. Povere storie alle spalle, anime deserte nel profondo, una sequela impressionante di tracce lasciate in ognidove. Una soffiata dal carcere dal quale provenivano i due, parte una caccia all'uomo coronata dall'arresto e dal processo, che durerà cinque anni e vedrà l'inevitabile condanna a morte. 
Quando Truman Capote, scrittore statunitense, autore fra l'altro di "Colazione da Tiffany" in quel novembre 1959 legge la notizia si precipita ad Holcomb. Raccoglie testimonianze, segue le indagini e poi il processo, intrattenendo corrispondenza con i due accusati e finendo quasi per innamorarsi (così almeno si narra, essendo omosessuale) di Perry. 
Il risultato di questo lavoro fu questo libro, generalmente considerato il primo romanzo a metà tra cronaca e fiction oppure non classificato in quanto può essere giornalismo come narrativa. Perché ai nudi, dettagliati fatti si aggiungono elaborazioni tipicamente narrative, sia nello stile incisivo, secco e senza fronzoli, sia nel dipanarsi dell'intreccio e soprattutto nel rivelare quelle che erano le personalità autrici del nefando gesto, almeno secondo Capote. 
Libro che suscitò ammirazione ma anche scalpore, per non evitare crude analisi di fatti quantomeno raccapriccianti e che invogliò molta critica letteraria a dargli un senso univoco. Ed ecco le più svariate interpretazioni: vuole parlare del lato oscuro della violenza, vuole asserire l'inutilità della pena di morte, vuole supporre un certo determinismo esistenziale, vuole parlare del bene che si può trovare nel male, una esibizione di vouyerismo sensazionalista e basta. Tutto chiavi utili, nessuna risolutiva o necessaria. In realtà, probabilmente, in quel momento Capote era alla ricerca di una scintilla che accendesse il fuoco del suo estro. E la lettura del New York Times, in una qualunque tranquilla mattina, fece in modo di fargli successivamente scrivere un libro che pur con alcuni svolazzi di carattere mistico-moralistico, rappresenta comunque un esempio nel suo genere. 
Uscì nel 1967 un film, con la regia di Brooks e relativamente di recente, nel 2005, è uscito un altro omonimo film. Che però in realtà si concentra decisamente più sulla discussa ed ambigua figura di Capote che sul fatto di cronaca ed i suoi protagonisti. Originale, compatto, storico ed unico nel suo genere.

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