Anni Sessanta, Italia,
litorale della Versilia. Il paese è incontaminato e pieno di voglie, esistono
scarse regole e nessuno che intenda seriamente far rispettare la legge. Tutto è
possibile e l'impossibilità appare una parola ancora priva di senso, questo
paese pare rinascere germogliando come fiore dalla terra arida delle sue
contraddizioni sociali e psicologiche. Lo stranito e stupefatto protagonista è
Ennio, proveniente da un ameno paesetto claustrofobico quanto basta ed ottuso
fino al vomitevole, suonatore a tempo perso di sassofono nel mitico gruppo dei
Los Locos, inappetenti al successo per DNA, che all'improvviso prende al volo
la svolta della sua vita. Dalla proposta d'ingaggio per una intera stagione
musicale presso stabilimenti e balere, si trova in mano l'incarico d'autista
dell'affarista Saligari, tipico esponente della imprenditoria di quegli anni,
spregiudicata e senza vincoli o lacci, ma ancora sufficientemente libera ed
apolitica anche se ferventemente anti comunista e comunitaria, scevra da
massonerie trasversali, capace di deturpazioni ed affari che di lecito non
avevano nemmeno l'odore ma ancora assolutamente indipendente, avventuriera come
una volta nel Far West.
Carpe diem.
Tutto cambierà. Anzi no.
Ma a riprova che la fortuna non sempre aiuta gli audaci, Ennio neanche stavolta
riuscirà a scrollarsi di dosso le sue ataviche indecisioni, i suoi bollori
onanisti, le sue pratiche nichiliste. Un uomo senza qualità, avrebbe detto
fumando il sigaro e con aria filosofica il tetro e annoiato scrittore Musil. E,
a giustificazione del fallimento, in futuro Ennio darà la colpa nientemeno che
ai Beatles. Perché lui era il più grande sassofonista del mondo, ma l'arrivo
degli scarafaggi di Liverpool con il loro pop a base di basso chitarra batteria
eliminerà per sempre la necessità di strumenti a fiato. E la musica, a detta di
lui stesso e basta, perderà un asso, un genio, un virtuoso.
Tutto ciò mentre in una lussuosa tenuta, una vivace e irresistibile
adolescente, dal nome colorato di Viola, auspica che finalmente arrivino
le terribili fortezze volanti B-52, le mitiche e sanguinarie fortezze volanti
americane, a bombardare tutta la sua vita, a ridurre in macerie questo
incomprensibile, fastidioso, arrogante mondo degli adulti di per loro in vario
malinconico ed ironico modo adulterati. Viola non può che essere la figlia di
Ennio e Luciana, donna ricca fuori quanto lacerata dentro, vittima di una cotta
adolescenziale per un uomo che si dimostrerà più che bambino, bambinesco.
Una storia che attraversa venti anni d'Italia in maniera leggiadra e mai
didascalica ma anzi, clownesca e irridente, una storia che si diverte a rendere
pubblici privati vizi e debolezze di un plotone scomposto e variegato di personaggi,
tra cui oltre quelli citati non dimentichiamo l'ex carcerato Giordano,
granitico e ancestrale e Bollicino, fatuo e geniale, con sullo sfondo il
fallimento dell'impero fortuito costruito da Ennio e le sue vicissitudini
familiari, nate con l'abbandono della moglie per averlo scoperto in una tranche
tipica delle sue performance sessuali solitarie con tanto di bambina neonata
frignante nell'altra stanza. Una donna forse può perdonare l'avventura con una
rivale, ma non può sopportare che il marito faccia per se in balìa solo di
tenebrose fantasie ancorché pseudo romantiche. Luciana se ne va. Ed Ennio
rimane all'improvviso non solo senza moglie e figlia, ma anche senza voglia.
Leggo Sandro Veronesi da
anni. Ho sempre apprezzato fortemente la sua caratura di scrittore e alla fin
fine son stato contento che relativamente di recente abbia raggiunto il
meritato successo. Perché Sandro è abile a coniugare la capacità di comunicare
a larghe masse nello stesso tempo infarcendo le sue narrazioni di temi tutt'altro
che banali o consolatori, arricchendo il suo stile sobrio di improvvise
ricercatezze lessicali e di pirotecniche trovate a volte meramente narrative e
situazionali oppure graffianti sardoniche ed aggressive, umoristiche tirate che
danno ampio respiro alla storia e la rendono qua e là una piccola perla.
Quello che mi piace sottolineare non è solo la maniera brillante di condurre la
storia senza annacquare la vivacità e le improvvise digressioni a ritroso,
esaltando le proprie attitudini di saper ritrarre personaggi goffi, impacciati,
solidi e stolidi, agili e fragili, ma anche qui di dare vita a qualche gioco
formalista operando sulla intera struttura narrativa, prendendo la parola in
maniera gaia e frizzante per farsi beffe del lettore cieco, quello che assorbe
sempre le solite storie e i triti contenuti senza voler mai un testo che
interroga, domanda e risponde, una lettura dannatamente passiva ed amorfa.
Veronesi qui si gioca di lui, lo mette alla gogna, rimanda significati
accessori ma lì per lì apparentemente necessari al naturale svolgimento,
rinviando a capitoli che però poi non verranno scritti, volendo scuotere
dall'apatia colui che né avido né vorace ma solamente frigido e vuoto ha la
sfortuna di avventurarsi tra le sue pagine. Appone note al testo fittizie ed
apparentemente demifisticatorie, ma che in realtà sono uno sberleffo. Una
operazione coraggiosa e da vero letterato qui in Italia, dove scrivere è
l'arroganza che mettere semplicemente in riga e punti a capo la propria storia
e i propri sentimenti significa essere Autori e dove la lettura è generalmente
ridotta a lassativo oppure a sedativo, mentre invece dovrebbe essere un
vivifico tonificante, una sollazzante rianimazione, una sognante ricreazione di
mondi possibili e difficili ma certo più affascinanti e significativi nonché
meno noiosi del nostro dove si vive
Il romanzo esce nel
1995, anno che non ha troppe date da ricordare. L'Italia non è ancora entrata
nell'euro e ci sono ancora le lire, ma causa il debito pubblico, rischia di
essere cacciata dalla UE. Siamo ancora raccogliendo le macerie partitiche del
post tangentopoli, tutto pare essere cambiato ed invece ci sorprenderemo dopo
qualche anno a respirare la stessa aria, vedere le stesse facce, assistere
all'attuale, imperituro sfascio di ogni speranza di un futuro civile migliore.
Terza prova dell'allora trentaseienne Veronesi, dopo "Per dove parte
questo treno allegro" e "Gli sfiorati" e precedente i grandi
successi "La forza del passato" e "Caos Calmo" nonché la
epopea, per me opaca e forse tirata per il collo, presentata con il
titolo "Brucia Troia" nel 2007.
Veronesi fece parte della nuova corrente narrativa nata negli anni
Ottanta, meno tradizionalista e di più ampio respiro e lui è sicuramente
rimasto fedele a sé stesso, ha rinunciato a pubblicare per ragioni economiche
un insipido libro all'anno (De Carlo docet) ed ha proseguito testardamente
per la sua strada di romanziere, certo ribadendo spesso nei suoi testi alcuni
temi e contenuti, ma proponendo sempre stimoli e riflessioni di sapore nuovo,
seppur di fatto la sua narrativa costantemente si impernia sul rapporto
familiare, in particolare modo sul dialogo - non dialogo fra genitori e figli e
marito e moglie, spesso non tralasciando i grandi contesti storico sociologici,
mischiando con irridente facilità fiction e fatti di cronaca e gossip
estrapolati dal reale (?) corso delle cose. Così come trovo qui estremamente
riusciti i riferimenti letterari e cinematografici che sì sono indicativi
di gusto ma vengono utilizzati come meri espedienti esemplificativi nella
narrazione, per fini non certo di divagazione culturale. Da evidenziare che la
ripubblicazione recente in Bompiani, al costo sontuoso di 13 euro, ha qualche
evidente pecca, con un paio di refusi clamorosi (uno esilarante ma stralunante
che trasforma “becchino” in “bocchino”…) e la qualità editoriale stranamente di
basso livello, peggio di un tascabile, una vigorosa tirata d'orecchie a cotali
affrettate operazioni editoriali.
Certo, se dovessi indicare una colonna sonora ideale citerei "Chiedi chi
erano i Beatles", degli Stadio, mi pare l'ovvio contraltare a una delle
tante efficaci trovate che rendono il romanzo simile ad un brillante prosecco,
che si beve con allegria prima del pasto e sembra non dare alla testa, con
tutte quelle bollicine, ma invece poi ogni bollicina è una trovata, ogni sorso
fa l'effetto di una corposa bevuta. Un libro che sgretola senza nessuna pietà
ma neanche pesantezza ideologica chi non riesce a stare con i piedi per terra.
Ed in fondo pare proprio che crescere è sinonimo di marcire. Assieme a “Caos
Calmo” a mio pare il più compiuto.
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