29 luglio 2015

Il tempo è un bastardo (Jennifer Egan)


Poliedrico, polifonico eppure compatto, essenziale.
Il tempo corre e non lascia spazio. Si prova a riempirlo in tutte le maniere. Ma poi. Bennie, impresario di grido in campo musicale, una volta era un vero nome, una sorta di icona. Poi scelte sbagliate ed una certa stanchezza lo hanno relegato al ruolo di cult e poco più, ma ancora è in grado di far saltare il banco. Lo sa Sasha, la sua storica segretaria, di cui dopo anni si sta invaghendo. Lei è forte, dolcemente caparbia ma anche con un passato irrequieto, più che ribelle nichilistico. Lo sa anche lui che ancora può giocare qualche asso, che non può rifiutare a se stesso di darsi un’ultima chance: dare una possibilità ad un derelitto chitarrista di realizzare un nuovo disco e fare un tour. Anche se è a pezzi. Anche se ormai lo ricordano in pochi. Anche se.



Attorno a questi due personaggi centrali, una serie di articolate microstorie che propongono e  dispongono delle vite dei pensieri e  degli amori di un variegato e multiforme stuolo di coprotagonisti.
E così vengono narrati con punti di vista differenti, che a volte solo sfiorano Bennie e Sasha  i tempi dell’adolescenza e della gioventù, chi il tempo lo ha dissipato, che atrocemente impegnato, chi un attimo ha visto dissiparsi tutto per una banale disattenzione o coincidenza, chi passa, chi va, chi resta. Scotty, Alice, Jocelyn e la sua gioventù bruciata dal maschio per eccellenza Lou, con i suoi sei figli che lo detestano tutti tranne uno, proprio ora che sta morendo e via dicendo. Sullo sfondo una generazione più che persa mai trovata, incapace anche nei suoi successi, insoddisfatta, insicura, friabile e schizofrenica talvolta.
Giocato su diversi punti di vista narrativi che però mirabilmente fungono da cerchi concentrici, l’opera della Egan rivelano un talento puro già decisamente maturo e capace di dare linfa e vigore a storie che forse sono state raccontate centinaia di volte. Ancora il mondo dello spettacolo, che ultimamente mi capita spesso far le mani (la Didion di target="_blank">Prendila così
) ancora un romanzo che hai gioia a proporlo e che mostra di nuovo come la narrativa statunitense ha ancora una marcia in più almeno a livello di mainstream contemporaneo, ancora una struttura concentrica, strutturata come romanzo di racconti, ultimamente foriera di opere meritevoli (Olive Kitteridge della Strout oppure Chi ti credi di essere? della Munro). 

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