Bruciano stilemi e convenzioni,
connvizioni sociali. Fuoco, fiamme e lampi di genio fino a sfiorare gli abissi
della pazzia più folle, barlumi di amori sospirati ma mai abbracciati,
scintille di speranza, roghi di illusioni. Ma poi anche fumo che soffoca,
cenere, caos. E vento. Dispersione, disillusione, disincanto, frana, rovina.
Frantumi, macerie e nessuna ricomposizione possibile di un magico e fragile
puzzle esistenziale.
Non c'è pace ma molta guerra
interiore nelle anime turbolente e illividite che vivono nel santuario presso
la collina, dove un prete visionario e quasi ferocemente religioso accudisce
con poca grazia, assieme a sgraziate suore, orfani senza nome né madre,
orfanotrofio più o meno regolare.
E niente serenità, così pare, altrove,
nemmeno in quelle anime (anime?) che si aggirano tra le lande bestiali e povere
del quartiere del cantiere, sorta di ghetto che si nutre di espedienti furti e
sfruttamento ai margini della città, che cresce languida ed impavida come una
grassa matrona. E c'è vita, anelito a, sia che lo start sia di fuochi sacri che
di istinto di sopravvivenza. Eccoci ordunque, più che in un girone infernale
siamo al Purgatorio e il Paradiso però sembra davvero lontano, irraggiungibile,
chimera delle chimere, aspirazione impraticabile anche se si pensa possibile.
E la storia è tutta qua, fra le vite che si scambiano tra questi due poli solo apparentemente antitetici e che invece paiono spesso, più che spesso, uno il completamento dell'altro.
Bambini che fuggono o ritornano per forza, deliri che vivono o muoiono, da queste parti, insomma, è un gran casino.
E la storia è tutta qua, fra le vite che si scambiano tra questi due poli solo apparentemente antitetici e che invece paiono spesso, più che spesso, uno il completamento dell'altro.
Bambini che fuggono o ritornano per forza, deliri che vivono o muoiono, da queste parti, insomma, è un gran casino.
Scrittura vibrante, non urlata ma
molto densa, desueta per chi conosce Veronesi. Qualche eccessiva ridondanza,
finale più che ovvio, adeguatamente confezionato certo, ma gli epiloghi
appaiono ineluttabili e di sapore preconfezionato, gli epitaffi quasi scaturiti
per logica meccanica e aprioristica invece che esistenziale e poetica. Scritto
in lunghi venti anni, soggetto a numerose e tormentate ristesure, "Brucia
Troia" in larghe parti evidenzia la cifra autoriale di Veronesi, le sue
spiccate ed ormai acclarate capacità di narratore, la sua non comune capacità
indagatoria sui più nascosti antri psico- emotivi dei personaggi. Però.
Manca quella garbata indolenza e
talvolta graffiante irriverenza che morbidamente emergeva a vivaci fiotti nelle
letture dei suoi esordi narrativi, in epoche in cui perlomeno questo romanzo fu
progettato se non per intero almeno in larga parte. Forse Veronesi ha ceduto
dopo venti anni, ha voluto disfarsene quasi di getto, liberandosi di un peso.
Se si volesse essere cattivi, magari anche per restare in scia al successo di
pubblico ottenuto con Caos calmo. Ed eccolo dunque il Veronesi che
non t'aspettavi, dal tono costantemente acceso, fortemente epico ed aulico, a
farsi cantore di questa sorta di maledizione che aleggia a più livelli in quel
lembo di terra così moderna eppure dai riverberi di sapore ancestrali,
archetipici nel senso junghiano del termine.
Nulla più, allora, dei frizzi e lazzi di Per dove parte questo treno allegro oppure le composte scomposizioni di drammi familiari vissuti
elegantemente, nessuna improvviso scatto di registro, unghiate sarcastiche che
ad ogni improvvisato angolo di narrazione sorprende e diverte il lettore anche
smaliziato in Gli sfiorati. Anzi anticipa stilemi da me poco apprezzati in XY.
Oddio succede. Chi non lo conosceva ne apprezzerà le.
Per chi lo ha letto, ne evidenzierà i.
Già dal titolo scelto probabilmente
scelto con parsimoniosa ponderazione, si sceglie e si mantiene un registro ed
un procedere che vuole convogliare al rappresentativo, all'icona di un
significato ultimo su un certo mondo, si assurge al paradigmatico, alla
parabola e non al parabolico,e la storia ne risente ampiamente, l'intero
complesso appare didascalico, volutamente incastrata e solida nella sua
tenebrosa volontà manifesta di esemplificare una dato, un'idea. Una sola, e
senza scelte.
Vadano di per se i non luoghi geografici che però rappresentano tutti i luoghi del mondo, vada l'antitesi dai tratti violenti e sanguigni fra ricchi e poveri, ma il finale più che catartico come nella tragedia greca, più che epico o epicizzante, sfuma in dettagli di sapore cronachistico addirittura da polpettone gossipparo. E' evidente a questo punto che sarà necessario leggere "Caos calmo", per darsi punti di riferimento e comprendere ed eventualmente apprezzare gli sviluppi della narrativa del Veronesi attuale, certo non biasimando e bocciando in toto il vibrante "urlo e furore" vivido e livido che sottende l'opera analizzata e ne anima le pagine a discapito di quanto esposto. Vabbè Sandro, ci troviamo altrove ed un'altra volta.
Vadano di per se i non luoghi geografici che però rappresentano tutti i luoghi del mondo, vada l'antitesi dai tratti violenti e sanguigni fra ricchi e poveri, ma il finale più che catartico come nella tragedia greca, più che epico o epicizzante, sfuma in dettagli di sapore cronachistico addirittura da polpettone gossipparo. E' evidente a questo punto che sarà necessario leggere "Caos calmo", per darsi punti di riferimento e comprendere ed eventualmente apprezzare gli sviluppi della narrativa del Veronesi attuale, certo non biasimando e bocciando in toto il vibrante "urlo e furore" vivido e livido che sottende l'opera analizzata e ne anima le pagine a discapito di quanto esposto. Vabbè Sandro, ci troviamo altrove ed un'altra volta.
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