Dalle lontane lande
russe, fredde e per certi versi spietate e ciniche nelle sue efferate e contorte
sentenze di giudizio, alle assolate e più notorie terre californiane, dove
sole, benessere e american dream non impediscono comunque la messa a morte
anche se di criminali assassini, anche se solamente sbandati teen ager.
Quattro storie, tratte dalla cronaca, vere e documentate. Russia, Usa e poi dal
caotico, dittatoriale Sudan, infestato dal morbo delle ideologie religiose e
dove s’annida e germoglia il tragico seme del fondamentalismo alle funeste e
fustigabili leggi di Taiwan, paese che si ammanta di essere l’unica Cina
democratica ma che punisce con la massima e assolutistica pena un rapimento,
considerato molto più nocivo e dannabile di un omicidio nel suo ordinamento. Ecco Veronesi versione saggio romanzato, sull'orme dell'inimitabile Truman Capote di A sangue freddo.
E’ un viaggio drammatico ma affascinante quello che agli inizi
degli anni novanta intraprende il romanziere toscano Veronesi, da me molto
apprezzato e recensito, balzato agli onori della cronaca soprattutto con Caos calmo, trasposto poi al cinema in un buon film con Nanni
Moretti protagonista. E poi, comunque, autore di livello, che si è confermato più volte talentuoso, sin dal suo esordio con Per dove parte questo treno allegro o per esempio con il riuscito Gli sfiorati.
Il suo tentativo è più letterario più che documentaristico, anche
se la sostanza narrata purtroppo non è fiction, ma le accuratezze stilistiche,
le scelte strutturali, gli effervescenti effetti speciali narratologici portano
ad esiti letterari notevoli anche se stavolta l’origine delle sue storie nasce
da verbali di processo e interviste più o meno riuscite invece che dagli
efflati e dai voli di una fantasia ispirata o meno che sia. Occhio per occhio per
secoli è stato un detto quanto abusato tanto frainteso, anche in epoca recente,
come asserisce Veronesi, citando persino la battagliera scrittrice e
giornalista Oriana Fallaci, donna certo intraprendente ma che a suo dire prende
in colossale abbaglio in “La rabbia e l’orgoglio”, in quanto il detto che da
struttura e fondamento alla legge del taglione non aveva nulla di barbarico e
tantomeno era di origine islamica, ma bensì cristiana e stava ad esprimere una
garanzia per i più deboli, in caso di controversie dove le disparità sociali
potevano causare pene eccessivamente severe. Occhio per occhi stavo dunque sa
significare un mero limite all’amministrazione umana della giustizia, facendo
in modo che la pena non superasse in nessun modo il crimine commesso.
Il testo denso e corposo, dallo stile ricercato e godibile, forse banco di
prova per i sperimentalismi strutturali moderati del romanzo successivo alla
pubblicazione di questo (“Venite venite B-52”, 1995) costituito di ben trecento
pagine, parte da una assioma inconfutabile a detta dell’autore e condivisibile
da parte dello scrivente: la pena di morte è un crimine efferato, la giustizia
ha ben altre frecce al proprio arco per imporsi e garantire sicurezza e
serenità agli amministrati. Non a caso l’autore spiega nella lunga introduzione
a questa nuova edizione datata 2006, riveduta e corretta solo nei dettagli e in
nessun modo nella sostanza, che tutto nacque dalla sua animosità verso le
allora discutibili posizioni della Chiesa cattolica di fronte alla pena in
questione. Tanto che mise in copertina, con fare polemico, una sua lettera aperta
assai vibrante e quasi al limite del sarcastico e del furastico al Pontefice di
allora, chiedendo ragione delle posizioni assunte nel documento ufficiale
pubblicato nel 1992 e dal titolo “Il nuovo Catechismo Universale”. Pochi anni
dopo in ogni caso Papa Giovanni Paolo chiarì la faccenda, tracciando un solco
decisivo e definitivo in merito, perché fino allora sembrava fosse propognata
una malcelata tolleranza quanto non addirittura un sotteso e nefasto elogio
della pena capitale, a discapito dei più elementari sentimenti di umanità e
anche in contrasto con alcuni assiomi della religione praticata. Veronesi
dixit, almeno.
Detto ciò, necessario
per capire motivi e fondamenti del libro, evitando di impelagarmi in lunghe e
loquaci asserzioni sul merito di quanto in argomento, posta la mia assoluta
contrarietà, torniamo allo spirito letterario del testo, costruito in maniera
abile e sagace e che riesce a romanzare spiriti sparito oppure miracolati,
musica psrtiti imprevisti sulla gesta e vicissutidini varie e d eventuali di
terroristi palestinesi che in Suudan compiono un attentato in un hotel
frequentato da ignari avventori come poi senza compassione ma con passione ci
delucida sulla triste fine di tre ragazzi rapitori in Taiwan del figlio di un
facoltoso imprenditore.per poi parlarci di un russo accusato in maniera forse
forzata di associazione a banda armata contro la patria per finire all’ uomo
californiano condannato per l’uccisione di due adolescenti nel corso di una
rapina.
Storie di ordinaria e talvolta persino quasi sciocca criminalità, con più di un
risvolto inquietante e un mirabolante modo di intrigare e attirare l’attenzione
del lettore. Posto che il libro per certi versi è superato dall’evoluzione
della politica mondiale, consultando siti appositi dedicati all’argomento ho
scoperto che Paesi che attuano una moratoria delle esecuzioni per condanna a
morte sono appena 4, mentre la mantengono ancora viav e vegeta (che tristezza,
parlando di uccisioni) ben 48, tra cui nazioni popolose e comunque sepsso alla
ribalta mondiale quali Afghanistan, Arabia Saudita, Ciad, Cina, Corea del Nord,
Cuba, Egitto, Giappone, Giordania, India, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait,
Libano, Libia, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Siria,
Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan, Taiwan, Thailandia, Vietnam, Zimbabwe.
Alcuni paesi ricchi poveri, altri ricchi, alcuni democratici altri no, qualcuno
di una religione e qualcuno di un’altra. Che il futuro possa limitare al minimo
questo elenco, almeno per quanto mi riguarda.
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