Lo so.
A volte il titolo mi prende e porta via, come una passione insana e insanabile. E questo titolo ha quelle peculiarità. Poi l'ambientazione. Questa meraviglia delle meraviglie che tutti chiamano anni sessanta. Dove tutto poteva succedere, molto forse pareva accadere e poco, a stringere le conclusioni, fece succedere in seguito, se non un inesorabile stritolamento delle impossibilità allora apparentemente possibili.
Italia era e Italia è rimasta, con qualche pseudo liberalizzazione in più e qualche corporazione che si è accorpata in corporazioni più grande. E qualche rigurgito xenofobo di sapor provinciale che ogni tanto qui e là goffamente fuoriesce, così stolto da essere quasi folkloristico, benché deprecabile.
25 novembre 2014
20 novembre 2014
Il giorno dello Sciacallo (Frederick Forsyth)
Esiste
l'arte anche nei cosiddetti generi minori, in questo caso una sorta di thriller
al sapore di spy story. Anche se narrativa di settore infatti, trattasi sempre
di gemma d'autore.
Anche perché questo romanzo ha una sua particolarità, essendo nella sua
interezza una indelicata, onesta, spassionata celebrazione del male fatto
persona. Tale inquietante risorsa narrativa ha l'appellativo di Sciacallo.
Inafferrabile, violento, sagace, capace di amare come uno stallone e di
bastonare come un Rambo.
E la sua mission non è esattamente rubare la marmellata. In un mondo appena
tagliato a fette dall'inizio della guerra fredda gli si chiede di uccidere
Charles de Gaulle, ovvero quel presidente dal volto corvino e dallo sguardo
truce che traghetterà la Francia dal dopoguerra agli anni settanta, tra guerre
coloniali, repressioni, colpi di stato, attentati e leggi liberticide. Una
dittatura dal volto buono, imparagonabile per cause ed effetti ad altra
esperienze antidemocratiche o similari vissute dal continente europeo.
19 novembre 2014
L'uomo dai cerchi azzurri (Fred Vargas)
Lui si chiama Jean-Baptiste Adamsberg. Il classico commissario tenero e tenebroso al contempo, con illustri ed ormai acclarati precedenti. Distaccato, intellettualoide, scontroso, malinconico, devastante con le donne ma con un amore che sfugge, perché Camille è andata via e rappresenta la chimera che alloggia in ognuno di noi. I suoi colleghi sono tratteggiati ma come se dipinti,
instabili e ieratici allo stesso tempo. L'intrigo è oscuro e fantasioso, qualcuno dipinge cerchi azzurri sui marciapiedi, evidenziando al centro del disegno oggetti strambi, quasi inutili e scrivendo una frase quasi esoterica, "Victor, malasorte, il domani è alle porte". Poi però il gioco si fa duro e compare un cadavere all'interno del cerchio, come Adamsberg oscuramente presagiva. Emblematico, contemporaneo, talvolta al limite dell'onirico, più che giallo, bello.
18 novembre 2014
Il barone rampante (Italo Calvino)
Su Amazon Foto tratta da Pinterest |
Chissà perché Cosimo, giovane adolescente ed agiato
infante di nobili di provincia, in un apparente impeto di puerile pazzia,
decide di ribellarsi alla sua famiglia, in barba ai precetti. Oppure il suo
perché riassume tante varie domande che noi ci poniamo. In ogni caso egli
abbandona senza rimorso il fratello ed i suoi genitori, coppia settecentesca
nell’anima e leopardiana per connotazioni di biografie letterarie, padre
decrepito come i suoi poteri secolari e madre abile occultatrice di ricchezze e
stratagemmi da telenovela, amministratrice di possessi sempre più in balia di
ruberie strampalate e gestioni tanto maniacali quanto inefficienti.
Cosimo rifiuta il dovuto senza ignorare il
dovere, disdegna l’inchino anche se ama l’eleganza e la deferenza, l’educazione
ed il bon-ton. Egli sceglie con convinzione invece di essere continuamente e
perpetuamente essere scelto, dagli altri o dalla Storia. Va sugli alberi. E ci
vivrà una vita, costi quel che costi. Così da bimbo diverrà uomo, avendo la
magnifica, sognante, fantastica possibilità di guardare tutto da un ramo senza
mai cadere come una foglia morta. Il barone rampante guarda altrove. O meglio, guarda da una prospettiva differente. Ed è un mondo diverso, anche perfettamente calato in quello reale. Ma visto con altri occhi.
17 novembre 2014
Suttree (Cormac McCarthy)
Un uomo. Anzi tanti uomini. E donne. Ma un solo protagonista. Ed un
fiume, uno. Di quelli che se anche scorrono alla fine sembrano invece
restarsene sempre fermi, diventare palude. Nel senso che non portano al mare,
non vanno da nessuna parte, servono solo per essere fiumi e basta
Non raccoglie altri fiumi, anzi, è unico, nel suo scorrere, trasportare, sfasciare oppure bagnare.
E sullo sfondo di una periferia infida, fatta di sentieri scoscesi, acquitrini putridi, una folla di esiliati e sopravvissuti poi una città. Una brutta città.
Non raccoglie altri fiumi, anzi, è unico, nel suo scorrere, trasportare, sfasciare oppure bagnare.
E sullo sfondo di una periferia infida, fatta di sentieri scoscesi, acquitrini putridi, una folla di esiliati e sopravvissuti poi una città. Una brutta città.
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Suttree
13 novembre 2014
Venti sigarette a Nassirya (Aureliano Amadei, Francesco Trento)
Il fumo fa male. Le sigarette uccidono. C’è scritto anche sul pacchetto, da qualche anno. Mai però come una bomba che causa una strage efferata. Mai, in ogni caso, non con la stessa rapidità, violenza, virulenza. Ma anche se il fumo nuoce gravemente alla salute, speriamo in futuro che ci siano pacchetti di sigarette da cui aspirare più libertà, più umanità di queste "Venti sigarette a Nassirya", che inceneriscono vite, speranze e legami, che son fatte di un tabacco concimato con sopraffazione, sangue, orrore, errore, inciviltà. Credetemi, non sono il popolo della pace, al massimo ho fatto l'obiettore di coscienza. Ma non sono nemmeno uno inerte e passivo, di fronte a quel crimine insopportabile chiamato missione di pace e che è invece solo aridamente guerra.
Rose Rose (Bill James)
Non significa nulla
rapporto libero. Perché liberi non si è mai. Anzi. Anche se non vogliamo, siamo
molto prigionieri di circuiti, circonvenzioni, "cervellotismi" sociali di cui
facciamo parte. Poi diciamo che non è vero ma alla fine è così. Ecco. Siamo stretti,
quasi soffocati, anche quando facciamo finta di respirare a pieni polmoni. Ed
una coppia libera, nel senso che ognuno non è legato a niente, può scoppiare e
slegarsi per effetto del caso e di questa solida costruzione che solida non è e
che chiamiamo società. Sdraiata a terra, nel parcheggio semibuio, Megan Harpur
è morta. Ma la spesa dello shopping serale è intatta per terra. Nessuna
violenza sessuale o magari rapina. A tarda ora, di notte, chissà cosa ci faceva
una bella donna da sola nel piazzale antistante la stazione. Niente di che.
Stava tornando a casa per dire al marito che se ne andava. Per sempre. La sua
vita oramai era altrove. Colin Hapur, il coniuge, è poliziotto. Avvezzo alle
storture improprie del proprio lavoro, dove giustizia, corruzione, invidia e
perfidia sono all’ordine del giorno, timbrano il cartellino come normali
impiegati quotidianamente.
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Rose rose
12 novembre 2014
L'autunno del patriarca (Gabriel Garcia Marquez)
Il
tempo, si sa credo, inevitabilmente scorre. E continua a scorrere anche quando
noi siamo finiti, sorpassati, nulla. Anche per chi indirizza tutti i suoi
appetiti vitali al culto del (proprio) Potere. Potere reale, regale, ma con
peculiarità di sapore ancestrale, quasi categoria metafisica, più che mero
sinonimo di dominio su cose, persone, animali.
Si è portati a pensare, me compreso, talvolta, che i potenti, i detentori del potere possano fare a meno di comuni sofferenze e universali immalinconimenti dell'animo. E invece no, anche qui, a volte si offrono immensi spazi a cavalcate imperiose del decadimento, della solitudine, del ricordo.
Il patriarca è immerso nel suo autunno della vita, quasi oramai sprofondato nell'inverno gelido che non finisce più ed a cui noi tutti arriveremo, ed egli oggi non ha nome, non ha età, non ha luogo, ma è l'indiscusso protagonista della vicenda, personificazione della gestione patriarcale e dittatoriale di uno stato misterioso, che potrebbe rappresentare tutti gli stati del mondo.
Si è portati a pensare, me compreso, talvolta, che i potenti, i detentori del potere possano fare a meno di comuni sofferenze e universali immalinconimenti dell'animo. E invece no, anche qui, a volte si offrono immensi spazi a cavalcate imperiose del decadimento, della solitudine, del ricordo.
Il patriarca è immerso nel suo autunno della vita, quasi oramai sprofondato nell'inverno gelido che non finisce più ed a cui noi tutti arriveremo, ed egli oggi non ha nome, non ha età, non ha luogo, ma è l'indiscusso protagonista della vicenda, personificazione della gestione patriarcale e dittatoriale di uno stato misterioso, che potrebbe rappresentare tutti gli stati del mondo.
Cent'anni di solitudine (Gabriel Garcia Marquez)
Sono entrato a casa Buendìa, tanti anni fa, in punta dei piedi. Rimasi
quasi ubriaco al profumo delle prime righe, mi accesi subito di speranze,
sensibile come un' antenna satellitare ai sommovimenti universali dei generi
letterari e dei loro protagonisti.
E, confesso, a distanza di anni, quando ritorno a casa Buendìa, non posso altro che riscaldarmi al sapore di quelle prime emozioni, insaporendole e rimpolpandole con il succo ed il nettare delle parole memorabili e delle storie incancellabili di questa incredibile costruzione che Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel, autore di altri romanzi da me amati quali Cronaca di una morte annunciata e L'autunno del patriarca, ci ha lasciato, sapendo di non sapere eppure dando tutto se stesso e anche di più.
Marquez arrivò, qui, a passi lenti e magistrali, prima con piccole costruzioni deliziose come casali di campagna (i racconti Nessuno scrive al colonnello, I funerali della Mamà grande per esempio) e poi con piccoli quartieri residenziali urbanisticamente perfetti come "La Mala Hora", fino ad arrivare a questa città della narrativa, a questa capitale dell'immaginario collettivo.
E, confesso, a distanza di anni, quando ritorno a casa Buendìa, non posso altro che riscaldarmi al sapore di quelle prime emozioni, insaporendole e rimpolpandole con il succo ed il nettare delle parole memorabili e delle storie incancellabili di questa incredibile costruzione che Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel, autore di altri romanzi da me amati quali Cronaca di una morte annunciata e L'autunno del patriarca, ci ha lasciato, sapendo di non sapere eppure dando tutto se stesso e anche di più.
Marquez arrivò, qui, a passi lenti e magistrali, prima con piccole costruzioni deliziose come casali di campagna (i racconti Nessuno scrive al colonnello, I funerali della Mamà grande per esempio) e poi con piccoli quartieri residenziali urbanisticamente perfetti come "La Mala Hora", fino ad arrivare a questa città della narrativa, a questa capitale dell'immaginario collettivo.
10 novembre 2014
Non è un paese per vecchi (Cormac McCarthy)
C'è questa America di confine con il Messico. Dove passa tanta droga
certo, ma solo perché la richiesta dei consumatori è in grandioso e facoltoso
aumento. C'è questo profondo sud statunitense che da secoli ormai è in contrasto
archetipico con gli eccessi brillantati e sotto i riflettori dorati del
successo a portata di mano o di portafoglio della California e della West coast
in generale. O in netta antitesi con il progressismo industriale e tipicamente
capitalista dei "nordisti".
Parliamo di ciò
perché prima di entrare nello specifico, questo romanzo è essenzialmente una
narrazione profondamente legata alle sue radici territoriali.
Ed in ogni caso non
ho resistito.
E benché non sia propriamente amante del genere
di cui il libro fa parte, eccoci qua. Tenuto conto che non amo il sangue, visto
che anche a pasto la carne la divoro ben cotta. Ma l'arena invece mi affascina.
Cavalli selvaggi (Cormc McCarthy)
Eccoli, sono
laggiù, all'orizzonte, si possono scorgere nitidamente mentre tramonta questo
sole rosso sangue che pare volerli inghiottire. Sì, esatto sono loro, quei due
pazzi di ragazzi. John Grady Cole e quel suo amico Rawlins. Chissà dove pensano
di andare, dove pensano di arrivare.
Se fuggono da qualcosa o inseguono qualcuno, un posto, un cielo dove azzurrare,
un'orma da seguire. Calcano anche antichi leggendari sentieri degli indiani e
vogliono passare la frontiera con il Messico.
06 novembre 2014
Chi ti credi di essere? (Alice Munro)
La provincia. Stato geo-politico ma soprattutto mentale. Questo dannato eterno microcosmo che difende con fierezza la propria integrità eppure nello stesso tempo ama e concupisce il capoluogo, il centro. Vite enormi e smisurate nei distacchi e nei ritorni, dai contorni sfumati, così piccole, vere, che quasi puoi toccarle.
Nonostante i boschi verdeggianti, un'aria appartata, un tenore di vita di cui la maggioranza gode, anche se non come ai livelli dei vicini Usa, questo Canada, con le sue distanze, i suoi geli invernali, nasconde e sottende una particolare irrequietezza sociale e sentimentale, specie nell'atipico e talvolta apatico trio composto da Rose, suo padre e la matrigna Flo, con in aggiunta la presenza inquietante del fratellastro Brian. Sismico,frammentato, sussultorio eppure lineare romanzo di formazione, di un protagonista Rose, che si piega si non si spezza, vacilla ma non cade. Prima bimba scontrosa, poi ragazza inquieta, infine sempre più donna. "Non devi metterti in testa di essere
meglio degli altri solo perché impari le poesie a memoria. Chi ti credi di
essere? Non era la prima volta che qualcuno glielo chiedeva"
Chesil beach (Ian Mc Ewan)
Edward e Florence. La storia di una
passione. Ma non di un fuoco che avvinghia e scalda il cuore e le
membra, non quel sacro ardore che brucia e consuma gli amanti. Quello
che insomma ci fa credere che l'amore sia vero e non una invenzione dei
poeti e di chi è solo o magari in non piacevole compagnia.
Qui si intende passione nel suo più antico significato etimologico, quello di patire, subire. Insomma un disastro. Chi, a prescindere, intende essere penetrata con orrore o chi, con la dolorosa ed onanista apprensione, intende penetrare ciò che non si presta? Un significato doloroso e senza scampo, per chi ne subisce le conseguenze. Attenzione che per parlare di questa narrazione, si svela il finale. Che fine poi non è. Perché non c'è stato mai inizio.
Qui si intende passione nel suo più antico significato etimologico, quello di patire, subire. Insomma un disastro. Chi, a prescindere, intende essere penetrata con orrore o chi, con la dolorosa ed onanista apprensione, intende penetrare ciò che non si presta? Un significato doloroso e senza scampo, per chi ne subisce le conseguenze. Attenzione che per parlare di questa narrazione, si svela il finale. Che fine poi non è. Perché non c'è stato mai inizio.
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Lettera a Berlino (Ian Mc Ewan)
Succede. Come in alcune storie
d'amore, come nella vita in generale. Per molto tempo eludi di leggere
un autore, ma sai che prima o poi lo farai. Perché ne parlano bene.
Perché ti intriga. Perché potresti scoprire un altro maestro di penna
che accompagni le tue giornate grigie o solari, che ti titilli il
cervello o semplicemente la fantasia, che ti faccia amare, sorridere,
sognare.
Poi invece come una pugnalata alla schiena l'incommensurabile, triste, goffa delusione. Un po' di amaro in bocca. Un'occasione sprecata.
05 novembre 2014
XY (Sandro Veronesi)
Scenario bucolico, quasi da cartolina,
di quelle di nicchia, provinciali ed in bianco e nero che significano
magari l'Italia che non c'è più e che forse mai c'è stata, ma ce l'hanno
fatta solo immaginare. Siamo dunque in un ordinario paese montanaro di
un Italia che sopravvive alla storia. Si chiama Borgo San Giuda e già il
nome è un programma, visto che il nome del santo è uno di quelli
quantomeno scomodi, visto che è uguale al massimo traditore del figlio
di Dio.
I nomi non fanno il destino, magari non sempre.
Un cavallo sconsolato torna sul sentiero innevato senza il carico di passeggeri. Deve essere successo qualcosa. Probabilmente non di piacevole. L'inquietante ombra di una tragedia che con molta probabilità si sta abbattendo su San Giuda ed i suoi pochi, stizzosi, archetipici abitanti.
Tutti con qualche tara, tic, rimorso, rimuginio, rinsavimento, risacca. Sarà che spesso, dato il posto isolato e le ataviche tradizioni secolari, gli incroci fra uomini e donne si sono via via rinseccoliti e infradiciati ed allora si sa, se ci si sposa una cugina o un fratellastro succede qualcosa che non va.
Comunque la slitta vuota era annunciatrice di morte. Perché risalendo il sentiero si trova un mitico albero ghiacciato che lampeggia come un mefistofelico ornamento natalizio di rosso sangue.
I nomi non fanno il destino, magari non sempre.
Un cavallo sconsolato torna sul sentiero innevato senza il carico di passeggeri. Deve essere successo qualcosa. Probabilmente non di piacevole. L'inquietante ombra di una tragedia che con molta probabilità si sta abbattendo su San Giuda ed i suoi pochi, stizzosi, archetipici abitanti.
Tutti con qualche tara, tic, rimorso, rimuginio, rinsavimento, risacca. Sarà che spesso, dato il posto isolato e le ataviche tradizioni secolari, gli incroci fra uomini e donne si sono via via rinseccoliti e infradiciati ed allora si sa, se ci si sposa una cugina o un fratellastro succede qualcosa che non va.
Comunque la slitta vuota era annunciatrice di morte. Perché risalendo il sentiero si trova un mitico albero ghiacciato che lampeggia come un mefistofelico ornamento natalizio di rosso sangue.
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XY
04 novembre 2014
Caos calmo (Sandro Veronesi)
Su Amazon |
Si può scrivere decentemente di tutto. Anche come addormentare il caos. Come tutti i libri, anche questo romanzo di Sandro Veronesi può (o non può) avere diverse letture, interpretazioni, messaggi evidenti o altri criptati. Ad anni di distanza dalla sua lettura io credo che il suggerimento principale, metodicamente e brillantemente portato avanti nel testo è l'impossibilità di continuare a pensare di poter cavalcare il folle mare delle possibilità che la vita offre e ti addossa sulle spalle e ti spinge nel cuore. Che insomma, seppur abbiamo disordini ed entropie varie che ci agitano corpo ed anima e cervello, la prima cosa è capire che non sempre fermarsi significa perdere oppure alzare bandiera bianca. A volte è solo e semplicemente salutare, mettere un punto ed andare a capo, assimilando la nostra vita a pagine scritte che riempono fogli bianchi su fogli bianchi, cioè i nostri giorni, i nostri pensieri.
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